Zeitschrift Debatten

Luigi Lacchè

Europa una et diversa. A proposito di ius commune europaeum e tradizioni costituzionali comuni

I. Europa in divenire
II. Elementi di complessità
III. Alla ricerca di un diritto comune europeo
IV. Modelli e radici dello ius commune europaeum.

IV.1. De usu et Authoritate Juris Civilis Romanorum per Dominia Principum Christianorum

IV.2. Quale ius commune?

V. Un novum ius commune, ovvero l'altra tradizione del diritto comune europeo
VI. Il mixtum compositum e la 'costituzione europea'
VII. La Carta dei diritti e le «tradizioni costituzionali comuni»
 

«Un principe crede che sarà più grande per la rovina di uno Stato vicino. Al contrario. La situazione è tale in Europa, che tutti gli Stati dipendono gli uni dagli altri. La Francia ha bisogno dell'opulenza della Polonia e della Moscovia, come la Guyenna ha bisogno della Bretagna e la Bretagna dell'Anjou. L'Europa è uno Stato composto da più province» (Ch. L. de Secondat, barone di Montesquieu, Cahiers 1716-1755)

I. Europa in divenire

«Qual è il ruolo dell'Europa in questo mondo trasformato? [...] L'Europa, continente dei valori umanistici, della Magna Carta, del Bill of Rights, della rivoluzione francese e della caduta del muro di Berlino. Il continente della libertà, della solidarietà e soprattutto della diversità, il che implica il rispetto per le lingue, la cultura e le tradizioni altrui». Questo passaggio della Dichiarazione di Laeken sul futuro dell'Unione europea può offrire una rapida chiave di accesso - retoricamente sostenuta - su alcuni dei nodi fondamentali del difficile1 processo di 'costituzionalizzazione' che impegna l'Europa da lungo tempo e che le due ravvicinate Convenzioni, quella che ha elaborato la Carta dei diritti fondamentali e quella che da un anno sta procedendo al riordino dei trattati secondo una logica sostanzialmente costituzionale, ha messo al centro del dibattito pubblico europeo, nella fase cruciale dell'allargamento a est dell'Unione. L'Europa, nella sua quasi integrale dimensione geo-politica, è chiamata a «condividere un futuro di pace fondato su valori comuni»2 muovendo dall'originaria, ovvia, condizione di diversità dei suoi popoli. Come si può contribuire al «mantenimento e allo sviluppo di questi valori comuni nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli europei, dell'identità nazionale degli Stati membri e dell'ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale»3? Il presidente della Convenzione sul futuro dell'Europa Valery Giscard d'Estaing, nel discorso di apertura (26 febbraio 2002), ha posto come condizione per il successo dei lavori l'individuazione di un «concept porteur d'unité pour notre continent et de respect pour sa diversité»4.

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Questo è il nodo fondamentale5 che l'Unione si trova a dover affrontare in questo momento, ma, a ben vedere, esso identifica prima di tutto la lunga durata di una tensione fondativa dell'identità6 e dello spazio dell'Europa. La dialettica tra ciò che unisce e ciò che divide e distingue, il divenire nella storia, la ricerca incessante - contrassegnata anche dai «demoni del passato» - di una forma e di un ordine politico, l'individuazione faticosa dei valori e dei principi comuni sono tutti presupposti senza i quali qualsiasi interrogazione aperta all'avvenire appare destinata a restare senza risposta. L'Europa in divenire, una et diversa, è anche la paradossale costruzione, lungo un percorso che non sembra mai poter avere fine (ed è bene che sia così7), di una «impossibilità»8.

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II. Elementi di complessità

Questa tensione, come si diceva, è antica eppure sempre nuova, pronta ad assumere forme sempre inedite. Essa, per uno storico, è un richiamo quasi irresistibile. Il processo di 'costituzionalizzazione' - comunque lo si voglia giudicare - offre a uno storico giurista la possibilità di riflettere non solo in prospettiva storica sulla costruzione di una identità stratificata e complessa, ma, di più, anche l'occasione per meditare sull'uso di categorie e di punti di vista che tradizionalmente non fanno difetto nella cassetta dei suo ferri del mestiere. Forse mai come negl'ultimi anni la storia del diritto - ovvero di alcuni dei concetti e delle figure rappresentative del suo statuto disciplinare - ha potuto beneficiare di un sonoro effetto di ritorno intessuto di richiami, di prestiti, di echi, di allusioni e di veri e propri riutilizzi da parte dei giuristi impegnati intellettualmente nel cantiere europeo e alle prese con paradigmi, scenari, trasformazioni che per certi aspetti elevano il de profundis sulle antiche certezze di una scienza fiera, a buon diritto, del suo millenario sapere e delle sue raffinate categorie interpretative. La ricerca di una novamethodus9 è questione annosa; ma senza dubbio le straordinarie accelerazioni innescate da catene di fenomeni che per facile convenzione collochiamo dentro la capiente categoria della 'globalizzazione' hanno dato il segno di un movimento in avanti riassuntivo di profondi mutamenti che affondano le proprie radici in tempi più lontani. Lo Stato sovrano nazionale, il legislatore onnipotente, la gerarchia e la natura delle fonti - per accennare solo ai profili più vistosi - individuano il lessico di una modernità giuridica che, senza soluzione di continuità,intere generazioni di giuristi hanno respirato come aria di famiglia. Senza dover qui postulare il tramonto inesorabile o addirittura la fine imminente di questo ben noto scenario (materia più per indovini), certo è che oggi percepiamo come sintesi e punto di arrivo una dimensione della 'crisi' che per certi aspetti ha accompagnato fedelmente una buona parte del secolo passato, facendo da costante, sordo contrappunto alla pur lodevole opera di una scienza giuridica impegnata a puntellare un edificio pericolante.

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Chi osservi i vastissimi fenomeni accennati e il progetto lento e faticoso di costruire uno spazio pubblico europeo non può non rilevare quanto oggi il giurista che voglia cercare di comprendere il proprio tempo debba impegnarsi per potenziare il proprio strumentario tecnico e culturale. La complessità del nuovo paesaggio10 richiede una scienza pienamente consapevole del proprio compito e capace di governare la complessità sistemica del giuridico. Quando parliamo della necessità di un giurista europeo11 inevitabilmente ci riferiamo a questa dimensione. Il pluralismo, la coesistenza/tensione tra unità e diversità, il confronto continuo devono essere maneggiati con sensibilità appropriate, con spirito critico e capacità di intraprendere strade meno consuete.

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Non v'è dubbio che il divenire dell'Europa all'interno delle coordinate comunitarie ha rappresentato, negl'ultimi decenni, il principale terreno di riflessione e di confronto dei giuristi europei. Su questo terreno si sono successivamente incrociati, sovrapposti e spesso confusi distinti concetti di diritto europeo e differenti modi di concepire l'idea di un diritto comune. Si tratta di un problema che ha toccato trasversalmente tutti gl'ambiti della scienza giuridica e che ha trovato radicazione soprattutto attraverso la categoria del diritto privato europeo quale dimensione ri-costitutiva di un tessuto, per lo più settoriale, di principi comuni. L'ultimo decennio, tuttavia, ha visto la forte emersione di una prospettiva di 'comune' non più incentrata sull'ambito tradizionale del diritto privato ma piuttosto sull'enucleazione­riconoscimento di «tradizioni costituzionali comuni» connesse in maniera forte al cd. processo di 'costituzionalizzazione' di cui oggi possiamo cogliere i diversi elementi di complessità.

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Il presente contributo vuole ripercorrere queste due dimensioni di diritto comune europeo, distinte, ma evidentemente incidenti sullo stesso terreno, e in vari modi intrecciate e portatrici di determinate visioni del diritto in Europa, sia in termini categoriali che di esperienza storica. Entrambe rispondono a un bisogno profondo di legittimazione, di modelli e valori in grado di animare un diritto comunitario che, pur inteso nella sua più ampia estensione, non può affatto rinunciare alla individuazione di più solide fondamenta e di principi connettivi. Le due prospettive sono per molti aspetti complementari e proprio la ricerca di raccordi e di principi comuni può essere vista come uno dei compiti più significativi della scienza giuridica europea. Nello stesso tempo, però, tale dinamica evidenzia elementi potenziali e reali di tensione tra un'idea forte di 'ragion civile' (europea) - supportata da una blasonata traditio - e una concezione di 'ragion pubblica' segnata da elementi di incompiutezza e di indecisione12. Proprio il moto 'costituzionale' che è sotto i nostri occhi vuole per certi aspetti costruire una prima cornice, simbolica e operativa, in grado di assicurare, attraverso richiami strategici a principi e valori, alcuni punti fermi seppur all'interno di una incessante dimensione processuale. E' a ben vedere anche l'incontro tra tempi diversi del diritto e delle sue forme consolidate. Da un lato, c'è un diritto che pare potersi muovere - vedremo in quale modo - lungo la linea di una storia che pur segnata da cesure profonde individua essenzialmente nella tradizione romanistica (riferimento in sé dei più generici) la propria matrice universalizzante e 'continua' in ordine alle categorie e alla loro sistematizzazione. Dall'altro, un diritto che per tanti aspetti deriva proprio dalla logica della discontinuità, figlio di trasformazioni epocali a partire dall'età moderna e agganciato infine alle ardite architetture statualistiche con tutti i relativi corollari. Se oggi questo 'incontro' appare problematico ma potenzialmente arricchente si deve anche al fatto che molte delle certezze e delle categorie fondamentali che hanno segnato nel profondo la nascita dei sistemi giuridici moderni sono oggetto di una sempre più condivisa riflessione critica. E' sul terreno della 'crisi' che si aprono spiragli, che si intravede la consapevolezza crescente per una riconsiderazione unitaria di fenomeni giuridici complessi che chiedono all'interprete creatività e sentimento acuito di 'globalità'. Europa una et diversa è per il giurista una grande sfida e un cantiere che mai come in questo momento ha avuto bisogno di una visione forte ed integrata.

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III. Alla ricerca di un diritto comune europeo

La nozione di diritto comune europeo è ben lungi dall'essere indiscussa13. Anche se nell'uso si riscontra talvolta la tendenza a confondere esperienze e piani di lettura, non si tratta in senso proprio né del diritto espresso nei trattati e nei regolamenti europei, né del diritto in via di armonizzazione attraverso direttive comunitarie, né di un corpus genericamente inteso di 'diritto europeo' come sistema, né di una sua specificazione in forma di un 'diritto privato europeo' (attuale o futuro). E' dunque, per molti aspetti, una nozione 'in cerca di autore'14. Non v'è dubbio però che proprio l'ultimo riferimento rappresenti per molti la chiave di accesso più ravvicinata per dare alla nozione forma e contenuti, in grado di enucleare un complesso di regole materiali, intese anzitutto in senso sussidiario e/o come forma specifica di comparazione. Su questo terreno - che è anche un 'luogo' di confronto tra privatisti/romanisti (la congiunzione o meno dipendendo dalle tradizioni disciplinari e accademiche nazionali), comparatisti e, in parte, storici del diritto - è possibile, come del resto è ben noto a tutti, ricostruire e forgiare schemi uniformi, principi comuni (in ambiti settoriali ma pur sempre di rilevantissima consistenza), tecniche di redazione, con un contributo di primissimo piano della scienza giuridica15. Questa prospettiva, tuttavia, pur avendo l'ambizione di edificare un discorso 'comune' ai principali modelli giuridici europei, deve fare i conti, se non altro, con talune, più o meno esplicite, resistenze e pregiudiziali storico-politiche a riconoscere la possibilità (e di conseguenza l'opportunità) di instaurare un dialogo sulle ragioni e sui caratteri peculiari della tradizione del common law e dei sistemi di civil law16.

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Le diversità, vere o presunte, possono rappresentare finanche un 'ostacolo' al naturale processo di unificazione del diritto privato. Possono essere depotenziate, rinchiuse entro margini accettabili, ma esse acquistano un 'senso' solo in relazione al concetto di 'comune'. Che cos'è comune? Che cosa ricomprende questa qualificazione? Quali i confini? La nozione di 'comune' - come sanno bene gli storici del diritto - è in sé una nozione correlativa, presuppone sempre una condizione di diversità (si tratti di diritti particolari, di singolarità, di eccezioni ecc. interagenti fra di loro), pur all'interno di un ordine giuridico riconducibile, in modi e forme i più diversi, a principi 'comuni'. E' appunto la ricerca dei termini di unità (ma non di uniformità) il problema fondamentale. Su questo terreno l'analisi storico-comparativa acquista una valenza metodologica niente affatto secondaria. E' una prospettiva preziosa ma non priva di difficoltà e di trappole.

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IV. Modelli e radici dello ius commune europaeum.

La ricerca del diritto comune europeo ha dunque bisogno di modelli e di radici. Se la nazionalizzazione del diritto di impianto statuale ha imposto frontiere, ha rinserrato i sistemi dentro confini meno permeabili, ha cercato di ricondurre - senza però riuscirci del tutto - il pluralismo dei diritti al monismo di un diritto legificato entro un disegno gerarchico, ha insomma enfatizzato gli elementi identitari di diversità e di specificità, è anche vero che queste trasformazioni acquistano una pluralità di significati solo se comparati alla dimensione comune del diritto che ha caratterizzato la storia europea tra Medioevo ed età moderna. «La disciplina del diritto è stata degradata allo studio dei sistemi giuridici legali nazionali - dirà von Jhering nel XIX secolo - ; i limiti dello studio del diritto coincidono ora con i limiti politici. Una forma scoraggiante ed indegna per una disciplina giuridica». Gli fa eco, nel secolo scorso, la parola di uno dei più grandi comparatisti, René David: «Cette dégradation de la science du droit me paraissait être désastreuse pour l'avenir de notre société...»17. In tal senso la ricerca della dimensione 'comune' risponde specularmente alla coscienza critica di una determinata condizione della scienza giuridica e allo stesso tempo scopre un terreno fertile di enfatizzazione nel dichiarare la crisi dei paradigmi più familiari e nel constatare i limiti del processo di armonizzazione europea del diritto.

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L'esperienza europea dello ius commune diventa così un crocevia, un punto obbligato di passaggio, ma pone al centro del dibattito la questione centrale dell'interpretazione, ovvero dell'analisi delle forme, dei contenuti, dei confini entro cui leggere un'esperienza plurisecolare, una delle più complesse strutture di longue durée della storia giuridica europea.

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IV.1. De usu et Authoritate Juris Civilis Romanorum per Dominia Principum Christianorum

Alludo evidentemente nel titolo all'opera di un professore di Oxford, Arthur Duck, civil laywer del XVII secolo18. Questo riferimento concerne più in generale il problema annoso - potremmo dire 'costitutivo' - dell'uso e dell'autorità del diritto romano nella storia europea. E' un problema questo che riguarda molto da vicino il diritto comune europeo19 perché a sua volta richiama e definisce la questione dell'interpretazione storica e dogmatica della tradizione romanistica quale matrice culturale imprescindibile per un 'nuovo' diritto comune. Per alcuni è possibile scorgere un percorso di 'ri-europeizzazione' del diritto e della scienza20: per superare le angustie del positivismo legalistico e la frammentarietà di un''unità' giuridica artificiale imposta da Bruxelles. Lo ius commune europeo non può allora che diventare la prova dell'esperibilità di un 'altro modo' di organizzare il diritto su base romanistica, quando la koiné era facilitata dalla comune formazione e tradizione scientifica, e da una stessa lingua. «"Diritto romano e unità giuridica europea": questo tema costituisce un programma» osserva Reinhard Zimmermann. Avere consapevolezza di una cultura giuridica comune europea significa riconoscere che i moderni sistemi giuridici nazionali sono a ben vedere modellati dal diritto romano. La storia del diritto e la comparazione giuridica21 sono tra gli strumenti fondamentali per riscoprire le nervature nascoste della tradizione dello ius commune romanistico e per ripristinare in prospettiva l'unità culturale interrotta dalle codificazioni. La scienza - intesa in senso savigniano - «... progetta il nuovo ius commune europaeum di nuovo dal centro del diritto privato comune. Perciò la conoscenza del diritto romano e della storia della sua efficacia saranno indispensabili anche in futuro»22.

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Nella prospettiva dell'Usus hodiernus Pandectarum, sovente connotata dalla qualifica di 'neopandettismo'23, il diritto romano sembra fluire nel tempo e nello spazio su una linea di ininterrotta continuità come quintessenza di un patrimonio inestinguibile di razionalità, di concetti, di tecniche. Questa presenza forte, 'applicativa', organica e autoreferenziale del diritto romano connota un'esperienza a tal punto invasiva ed assorbente da trasformare il segno della storicità nel suo contrario. Ne può derivare una visione a-temporale che anziché cogliere le ragioni e i fenomeni della trasformazione (e quindi del rapporto continuità/discontinuità) fissa in un tempo immoto ciò che invece è mobile, specifico, proprio, singolare, diverso. Il rischio di una lettura uniformatrice è evidente. Il diritto romano è sempre vivo - e non morto come disse Vittorio Scialoja nel 188124 - ed è il parametro universale che qualifica e esprime in senso unitario la storia europea del diritto. La presenza di una tradizione romanistica in Inghilterra - pur così peculiare e storicamente complessa25, oltrechè controversa - può servire a depotenziare il problema dei rapporti tra common law e ius commune26; le codificazioni moderne possono essere lette in chiave di usus modernus; la Pandettistica come ritorno alle origini del diritto, ideali e 'spirituali', romano27.

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IV.2. Quale ius commune?

L'approccio al diritto comune europeo informato ai dettami dell''uso attuale' del diritto romano rischia, se estremizzato, di portare ad un paradosso: indebolire la credibilità di una considerazione che è invece ovvia28: poter riaffermare sempre, come storici e giuristi, il carattere fondativo dell'esperienza romana e del suo straordinario patrimonio culturale soprattutto in termini di metodi e strutture e cercare di capire l'insieme delle innumerevoli ragioni che ne hanno fatto la dimensione più produttiva nella storia del diritto occidentale dalle origini sino alla titanica impresa della Pandettistica. Costringere però questa esperienza - fondamentale anche in termini di dogmatica e di interpretatio - in un archetipo e in un modello 'meta-temporale' per farne la misura di tutto è operazione rischiosa e tale da trasformare lo ius commune d'origine medievale in una delle manifestazioni risorgenti dello ius romanum( mediiaevi)29. E' dunque fondamentale avere piena consapevolezza della storicità30 dello ius commune inteso come «opera aperta»31, riscrittura incessante dei doctores realizzata sub specie interpretationis e volta a definire un ordine giuridico tanto nuovo e dinamico quanto più il testo del Corpus iuris è antico e fisso. Questa dimensione si riflette sia sulla concezione del problema del diritto comune europeo, sia sul modo di interpretare la stessa categoria dello ius commune.

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E' forte la tentazione di richiamare analogie e omologie, specie se si è alla ricerca di 'modelli' di riferimento legittimanti il presente32. Il 'paradiso perduto' rischia di trasformarsi in 'paradiso artificiale'. La temporalità è la dimensione naturale dello storico, e il tempo dello ius commune è tempo compiuto e proprio per questo lo storico ha la possibilità, con gli strumenti e la sensibilità peculiari al suo mestiere, di ben operare per coglierne i tratti che ne fanno un'esperienza unica, per molti aspetti 'altra' da noi. Le suggestioni sono invece potenziali vettori di 'uniformazione' del passato e di possibili equivoci. E l'Europa una et diversa non consente - così ci pare - letture uniformatrici. Fare leva sulla nozione di ius commune significa spesso individuare un concetto sin troppo generico, a tal punto da poter significare «un punto di partenza astratto e teorico, un po' come la nozione dello 'stato di natura' nelle teorie del diritto naturale nei secoli XVII e XVIII»33. Se il giurista ricorre legittimamente all'analogia come elemento retorico del discorso, lo storico34 non può seguirlo su questa strada poiché rischia di perdere la sua funzione di sentinella critica in grado di rifuggire anacronismi, visioni teleologiche e 'progressive', e di affermare invece l'autonomia epistemologica del passato e lo statuto della differenza35. Non è possibile quindi 'mitizzare' il diritto comune, specie in funzione delle nuove esigenze comunitarie36 e d'altra parte non si vede come potrebbe diventare un 'modello' un'esperienza tanto complessa come quella dello ius commune, contrassegnata da peculiarissimi fondamenti antropologici e da forme proprie di razionalità37. Del resto non bisogna neppure sottovalutare le ragioni profonde della crisi del diritto comune: andrebbero infatti chiarite, più di quanto non sia stato fatto38.

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Si tratta di questioni di grandissima rilevanza che riguardano anche il problema della definizione-interpretazione di una categoria complessa come quella dello ius commune. Non è questa la sede per affrontare un problema di tale portata. Qui si vuole più semplicemente mettere l'accento sul fatto che tale categoria è storiograficamente (e quindi geschichtlich) determinata, non scevra quindi da opzioni scientifiche, posizioni ideologiche, pre-comprensioni e riletture. Basti qui ricordare gl'elementi di 'contestualizzazione'39 necessari per comprendere le valenze della ricostruzione straordinariamente creativa di Francesco Calasso e capire la 'direzione di senso'40 che ha inteso assegnare al concetto di unità-sistema del diritto comune. Non si possono non ricordare le rivitalizzanti discussioni che L'ordine giuridico medievale di Paolo Grossi41, nettissimo nel delineare opzioni metodologiche e presupposti intellettuali, ha fatto nascere tra gli storici del diritto e tra i giuristi più pronti a cogliere il rilievo di quell'operazione culturale.

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L'uso della nozione di ius commune deve essere accompagnato dalla coscienza di trovarsi di fronte un concetto i cui confini e le cui scansioni spazio-temporali non rispondono ad una logica univoca42. 'Comune' non può essere sinonimo di unitario43, a costo di tradire l'immensa ricchezza che si può scorgere in una esperienza tanto estesa e concettualmente forte da identificarsi per tanti aspetti con la storia stessa del diritto in Europa tra medioevo ed età moderna44. Senza dubbio è doveroso partire da un'accezione condivisa e convenzionale di ius commune, ovvero di quell'esperienza giuridica plurisecolare in grado di qualificare, in tempi diversi, gl'ordinamenti di una buona parte dell'Europa, incentrata sulla grandiosa attività di interpretatio iuris realizzata dai doctores a partire dai testi romano-giustinianei, anzitutto nell'ambito degli studia universitari, integrante una pluralità di fonti autonome coordinate in un ordine giuridico, in una dimensione processuale che la trasforma nel corso del tempo, integrata in età moderna, tra l'altro, dall'attività giurisprudenziale delle grandi corti di giustizia, pur non venendo meno la funzione ordinante della dottrina. Non si può d'altra parte non segnalare quanto il diritto comune, specie se lo sguardo è bifronte, avendo da un lato il problema contemporaneo del 'diritto comune europeo', possa ampliare la sua prospettiva spazio-temporale. A ben vedere, è anche questa preoccupazione a orientare, in maniera più o meno riconoscibile, la definizione dello ius commune in ordine alla questione dei 'confini'. In questo caso si può ben dire che, rovesciando il detto di Maitland, comparison involves history. La teoria storico-comparativa di Gino Gorla, nel suo itinerario originalissimo di comparatista, ha rappresentato coerentemente un'autentica modalità della scienza giuridica. La luce gettata sull'attività giurisprudenziale-creativa dei Grandi Tribunali in ambito europeo, iurisprudentia comune e comunicante, porta ad allargare la tradizionale nozione di ius commune facendone un sofisticato contenitore storico-comparativo in cui l'esperienza continentale e quella inglese, tradizionalmente divise da un fossato riempito di pregiudizi e di rimozioni45, possono dialogare su uno stesso piano. Non è un caso comunque che il problema del diritto europeo visto da una delle sponde della Manica finisca per rappresentare un fattore importante per tracciare i limiti spazio-temporali del diritto europeo46. Maurizio Lupoi ha proposto una nozione di diritto comune europeo che, diversamente dallo ius communedoctorum, sarebbe l'espressione altomedievale della comunanza di principia e di regula intesi come modelli risolutori dei temi fondamentali della vita giuridica. Quello che abitualmente si considera, pur con modulazioni diverse del rapporto continuità/discontinuità, il punto di partenza dello ius commune cambia per Lupoi di segno e diventa il punto d'arrivo, il trauma dell'XI-XII sec., facendo sopravvivere la comune ley solo in Inghilterra e ponendo le premesse per «l'incolmabile iato fra civil law e common law», contribuendo a conformare i caratteri strutturali di un allontanamento47.

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Che si tratti della presenza multiforme del diritto romano o della persistente natura 'comunicante' del fattore giurisprudenziale, o ancora della sopravvivenza inglese di un diritto comune altomedievale, differenti nozioni di diritto comune europeo sono al centro del dibattito in una prospettiva di storia giuridica e di comparazione. Certo, la tentazione di ricorrere al registro della reviviscenza, pur avendo ben presenti differenze e alterità, rimane sempre sullo sfondo. Un dato merita di essere ulteriormente sottolineato: l'Europa del diritto comune europeo appare, pur tra incertezze e dilemmi, più ricca di esperienze, più complessa per articolazioni, più aperta al dialogo. Rimane il problema (vero, falso?) - in chiave prevalentemente di diritto privato europeo - dell'allontanamento o viceversa del mancato avvicinamento, a seconda che si calchi la mano sugl'elementi di alterità o si voglia riconoscere, più opportunamente, la costante presenza di aspetti comuni e di interazioni48. Europa irrimediabilmente diversa, osserva tuttavia Pierre Legrand49 negando la possibilità e l'opportunità di far convergere i sistemi, di coordinarli in chiave di approximation. L'Europa plurigiuridica, segnata da differenze epistemologiche, mentali, morali, divisa da in-comprensioni, respinge ogni prospettiva 'normalizzatrice', specie se da realizzarsi per mezzo di un codice privato europeo.

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Che dire, dunque? Che forse per leggere l'Europa una et diversa di oggi non è più sufficiente il solo punto di vista del diritto comune europeo nelle varie accezioni ricordate. E' per questo che mi accingo a dedicare la 'seconda parte' del mio intervento al processo europeo di 'costituzionalizzazione', dove l'orizzonte storico-critico può offrire egualmente un contributo alla riflessione in corso.

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V. Un novum ius commune, ovvero l'altra tradizione del diritto comune europeo

Il 14 febbraio 1996 la mano sanguinaria dell'Eta assassinava a Madrid Francisco Tomás y Valiente, eminente storico del diritto, costituzionalista, giudice e presidente emerito del Tribunale costituzionale spagnolo. Da pochissimi anni era ritornato all'insegnamento universitario, ma, potremmo dire, con occhi e con spirito mutati: l'esperienza come giudice lo aveva sollecitato infatti a rimeditare i lavori scientifici del passato e a intravedere nuove prospettive nel campo della storia costituzionale, terreno a lui congeniale già prima della 'parentesi' giurisdizionale. Il suo però era un back to the future. Il concetto di rivoluzione costituzionale, la cultura giurisprudenziale, il recupero innovativo dello ius commune europeo diventavano categorie referenziali. Tomás prospetta «l'approccio storiografico del diritto costituzionale come diritto comune del costituzionalismo, come prosecuzione costituzionale di quello ius commune. Il diritto costituzionale sarebbe innanzi tutto un un nuovo diritto comune e questo potrà essere realmente rilevante per una storia costituzionale»50. In una conferenza italiana del 1988 Tomás preannuncia i termini della questione: «L'Europa non è solo un mercato. Si appresta ad essere uno spazio giuridico comune. Rinasce un novum ius commune, integrato non soltanto da accordi doganali o direttive di discussa forza cogente, ma in modo preponderante e più profondo dalla coincidenza del regime di alcuni diritti fondamentali riconosciuti e garantiti in costituzioni, trattati e accordi. Su questo suolo dei diritti fondamentali, sostanzialmente eguali in tutti i nostri paesi, i Tribunali costituzionali e la Corte europea dei diritti dell'uomo hanno creato una giurisprudenza comune»51. Lo ius commune romano-canonico era entrato in crisi definitivamente nel corso del XVIII secolo, destinato a perire di morte naturale52 «per la sua incapacità di evoluzione costituzionale»53, per trovare poi «continuità nel diritto comune di questo tipo, un diritto che, similmente comune, viene ad essere quello dei diritti di libertà»54. Le radici del 'nuovo' affondano nella cultura gius-politica e filosofica del XVII e XVIII sec. Età di grandi idee, ma anche di presupposti fragili e di diritti solennemente dichiarati e meno coerentemente garantiti. La cultura giuridica dei diritti ha faticato ad uscire dal sentiero della divinizzazione dello Stato55. Sono state soprattutto le costituzioni e con esse le convenzioni e i tribunali europei del secondo dopoguerra ad aver impiantato sul Continente una vera cultura dei diritti. Se oggi sono fondamentali e intoccabili nei loro contenuti essenziali è perché gli Stati sono democratici e realmente impegnati a garantirli56. In tal senso, si tratta di una cultura comune dei diritti perché in grado di produrre effetti di imitazione e di emulazione; perché le Corti costituzionali svolgono la loro opera di custodi e interpreti della Costituzione come norma dei diritti; perché al di sopra degli Stati c'è un tribunale comune che protegge i diritti individuali e rettifica gl'eccessi statali. E' una scienza dei diritti fondamentali trasformatasi in scienza della giurisprudenza costituzionale57.

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La cultura del costituzionalismo - come diritto comune attuale58 - richiamata da Tomás y Valiente è un elemento importante per capire le trasformazioni attraverso una chiave di lettura che fa del 'costituzionale' un vero e proprio fattore ordinante dei sistemi giuridici. Tale cultura, pur nascendo dal seno degli Stati moderni si è andata faticosamente affrancando dal mero e indiscusso primato della legge, è stata incastonata dentro lo statuto normativo della costituzione, ha trovato un grado crescente di effettività nella giurisprudenza delle corti costituzionali e conquistato natura eminentemente transnazionale, 'oltre' gli Stati, aspirando a diventare ius commune europaeum. «Si sta aprendo - osserva Clavero - tutta una possibilità di storia costituzionale senza la centralità dello Stato, una storia che non dia per precostituiti gli Stati, capace di affrontarli nella loro più radicale problematica costituente»59. Certo, non si dovranno dimenticare i caratteri distinti, originari e sopravvenuti, dei 'costituzionalismi' che hanno contrassegnato la storia moderna tra Europa e America e di conseguenza la pluralità di effetti prodotti sui relativi ordinamenti. Non si potrà neppure sottovalutare il fatto che una parte cospicua di quella che potremmo chiamare la 'teoria costituzionale' di Antico regime - espressa anche attraverso le categorie dello ius commune - non si trova dove troppo semplicisticamente le nostre mappe concettuali pretendono di condurci60. E proprio il terreno fertile della iustitia e della iurisdictio - ovvero lo spazio di 'identificazione' del 'costituzionale' nell'esperienza medievale destinata a lunghe sopravvivenze - fanno venire in mente suggestioni e cortocircuiti destinati a far riflettere.

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Le intuizioni di Tomás maturate nel corso degl'anni Ottanta si sono rivelate tutt'altro che infeconde. Lo storico spagnolo ha potuto soltanto abbozzare il proprio disegno, ma l'idea di fondo riveste una valenza metodologica che la storia costituzionale europea - come vedremo integrata nel processo di 'costituzionalizzazione' - e la scienza giuridica farebbero bene a non lasciar cadere nel vuoto. Si potrebbe dire che la realtà ha superato l'immaginazione61. Proprio per questa ragione c'è bisogno di ri-pensare i limiti e i contenuti essenziali dello spazio costituzionale europeo perché questo spinga le radici - come pure si sta cercando di fare - più in profondità di quanto non sia avvenuto finora: una profondità o, se si vuole, uno strato che molto ha a che fare con la cultura del costituzionalismo inteso come novum ius commune, un fattore connettivo e ordinante necessario per rispondere efficamente alla sfide e ai dilemmi del presente.

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VI. Il mixtum compositum e la 'costituzione europea'

Nell'ultimo decennio il problema della 'costituzione europea', per utilizzare un'espressione controversa, ma fonte di importanti dibattiti62, ha assunto una rilevanza dottrinale e politica crescente. Lo scenario complessivo ha subìto profondi cambiamenti e il processo di 'costituzionalizzazione' è apparso a taluni come il medium più appropriato per riequilibrare l'asse portante di un'Europa nata con un evidente intento politico ma cresciuta tramite una razionalità d'ordine essenzialmente economico63 (sino all'istituzione di una Banca e di una moneta uniche). Nello stesso tempo il problema della proiezione internazionale dell'Unione, della ricerca di forme condivise di governance nel mondo globalizzato, del complesso allargamento verso gli Stati orientali ha contribuito ad accelerare un movimento preannunciato da molteplici segnali.

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L'Europa ha bisogno di una 'costituzione'? La risposta, come è noto, è tutt'altro che univoca. In fondo la celebre querelle tra Dieter Grimm e Jürgen Habermas64 sul futuro della costituzione era già riassuntiva di gran parte dei temi in discussione e rappresentativa, pur entro una gamma vastissima di graduazioni e di distinguo, dei principali indirizzi interpretativi. Per gl'uni bisogna anzitutto dubitare fortemente dell'uso della parola 'costituzione', in quanto il diritto comunitario primario derivato dai trattati non può assumere il senso di una 'costituzione' così come larga parte della scienza giuridica europea ha inteso esprimerlo. La struttura ordinamentale complessa dell'Unione - fino a che non muteranno i presupposti fondamentali (a cominciare dal mix di elementi distinti propri della logica intergovernativa, multinazionale e transnazionale, e delle culture del diritto internazionale, del costituzionalismo e del federalismo) - impedisce di dar vita ad una costituzione in senso proprio. Emergono allora tutti i limiti del 'discorso costituzionale': un diritto di autodeterminazione politica che non può risalire ad un atto del popolo, la mancanza di un'identità collettiva intesa come senso di appartenenza, un deficit strutturale di legittimazione democratica. Se questo è il panorama, non è ancora auspicabile la trasformazione dell'Unione europea in Stato federale; nello stesso tempo una costituzione in senso proprio attribuirebbe all'Unione la competenza sulla competenza facendo di essa uno Stato, poiché «...la costituzione è in definitiva strettamente connessa allo Stato...»65. In questa prospettiva gradualistica non sarà possibile immaginare un risultato duraturo ed efficace se non partendo da una ponderata revisione razionalizzatrice dell'esistente e soprattutto dall'individuazione del tessuto 'materiale' come terreno di progressiva edificazione di un effettivo spazio pubblico europeo66.

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Per chi invece ritiene quantomeno opportuno immaginare un'Europa 'costituzionalizzata' in tempi relativamente ravvicinati, non è con i paradigmi tradizionali, per lo più di matrice statualistica67, che sarà possibile ri-definire un ordinamento caratterizzato, nella sua evoluzione fluida, da un elevato tasso di originalità. Una struttura tanto complessa non può essere valutata con strumenti 'obsoleti' per un verso, inidonei per un altro, ma richiede, specie ai giuristi e alle loro concettualizzazioni, uno sforzo intenso di 'immaginazione'. E' evidente, inoltre, che la parola-concetto 'costituzione' qui tenderà ad assumere un significato più 'aperto'68, più dinamico, di integrazione orizzontale, in questo accompagnata dal viatico di una rinnovata teoria della costituzione. In tal senso dell'idea democratico-pluralistica di costituzione si valorizzano gl'aspetti ritenuti più consoni alla prospettiva europea. In questa visione da un lato si depotenzia e si delimita l'assolutezza dell'argomento della legittimazione69, dall'altro si individua proprio nel processo di integrazione costituzionale il vero motore per la formazione di una condizione minimale di cittadinanza, di identità sociale, di partecipazione politica, di prassi discorsive, verso l'obiettivo di un adeguato spazio pubblico europeo70. Nello stesso tempo però fare la Costituzione non potrà consistere che in una consolidazione di segno costituzionale, perché una costituzione in senso sostanziale esiste già71, una consolidazione volta a selezionare, semplificare e riordinare il diritto dei trattati e le sue concrete espressioni istituzionali avendo come orizzonte possibile un «testo costituzionale»72. Se l'obiettivo razionalizzatore è in fondo comune ai diversi orientamenti, è però il «momento della scrittura» quello che li allontana, almeno in questa fase. Mettere per iscritto anche solo ciò che preesiste come tradizione costituzionale comune prescritta dal tempo non è mai un'operazione notarile e passiva73. Lo sa bene chi frequenta la storia costituzionale e il risalente fenomeno delle imitazioni, delle influenze, delle 'copiature' letterali e addirittura delle recezioni integrali di testi costituzionali74. In questa prospettiva, la 'costituzione' - intesa anche come meccanismo di integrazione del pluralismo e come processo75 evolutivo aperto - assumerebbe anche una forte valenza simbolica, emozionale76, 'comunicativa'.

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L'impossibilità di prefigurare a breve termine l'Unione europea come Stato ma, ancora di più, l'inverosimiglianza e l'inopportunità di questa soluzione sembrerebbero - a rigor di logica - mettere il processo in atto in un cul de sac. I critici diranno tuttavia che lo Stato non è più la condizione necessaria per far vivere un ordinamento costituzionale e che ciò discende proprio dalla cultura costituzionale che ha gradualmente eroso quel binomio all'apparenza indefettibile. Nel contempo l'ipotesi secondo cui l'Unione avrebbe già una 'costituzione' sui generis parrebbe rafforzare la via intrapresa. Tuttavia, come spesso capita, sembra più facile dire ciò che l'Unione europea non è, piuttosto che ciò che essa è. La 'crisi' della teoria giuridica legata allo Stato-persona e al concetto di sovranità mette i giuristi in una scomoda posizione: non possono più affidarsi a questi concetti con la stessa sicurezza nutrita nel passato, ma non dispongono ancora di categorie e paradigmi sufficientemente affidabili, condivisi e coordinati. Probabilmente non bisogna aspettarsi un ritorno alla dogmatica 'pesante', poiché i tempi nei quali viviamo non sembrano più in grado di sopportarne il peso. Tuttavia, è su questo terreno che si può sperare di costruire qualcosa di più durevole. Non è un caso che la teoria, la storia e la comparazione stiano ricominciando a tessere un discorso comune e che proprio l'Europa sia il vettore principale e l''oggetto' di questo 'incontro'. Lo storico, in particolare, non si meraviglia nel vedere che modelli e principi organizzativi a lui ben presenti siano evocati per svelare l''arcano' dell'Unione europea e per immaginare possibili sviluppi.

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In questo 'ritorno al passato' il pluralismo medievale governato dallo ius commune dei doctores, i soli in grado di coglierne la cifra 'unitaria' in mezzo a diversità d'ordine territoriale e soggettivo, si conquista una qualche valenza euristica: il fine sarebbe quello di allargare gl'orizzonti, di 'avvicinare' mentalità quasi sempre irriducibilmente diverse e aprire un 'laboratorio' storico-comparativo nel quale dare 'respiro' e profondità a proposte dell'oggi, si tratti del concetto 'politologico' di multilevel constitutionalism77 o della suggestiva ma sfuggente metafora della rete78. Non v'è dubbio che la centralità di principi come quello di sussidiarietà o di adeguatezza, per fare solo un esempio, rispondono anche al tentativo di individuare strumenti per governare, a vari livelli, un sistema-arcipelago e dare una 'direzione di senso' a strutture rette da logiche e dinamiche non più riconducibili a universi omogenei.

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Del resto, non si deve necessariamente riandare all'esperienza pre-statuale per rispondere al bisogno di 'precedenti'. Una fondamentale revisione storiografica ha riletto in chiave critica sia il paradigma weberiano che la grande tradizione di scienza europea del diritto pubblico tra XIX e XX artefice della edificazione dello 'Stato di diritto'79. Togliendo le incrostazioni e denunciando le giustapposizioni incombenti sulla genesi e sullo sviluppo del cd. 'Stato moderno', tale orientamento ha permesso di andare oltre lo schermo teorico e retorico della sovranità, mostrando come quegli Stati (moderni) e i loro sovrani abbiano dovuto fronteggiare per lungo tempo caratteri e attributi pluralistici apparentemente 'medievali' come il pattizio, il composito, il consociativo, solitamente appannaggio - in età contemporanea - delle categorie riconducibili al federalismo e a quella costruzione peculiarissima che è lo Stato in senso federale. La respublica composita, il mixtum compositum, la variegatissima tipologia di unioni di stati tornano così al centro dell'attenzione80.

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Paradossalmente il 'futuro della costituzione' e gl'incunaboli del 'costituzionalismo antico' sembrerebbero meno lontani di quanto la cronologia lascerebbe intendere. Tuttavia dovremmo riflettere di più sul senso di marcia di questi 'avvicinamenti' e interrogarci sulla specularità delle operazioni interpretative e sul significato profondo di questi cortocircuiti. Lo storico, comunque, non può abdicare alla sua funzione critica. L'esperienza dello Stato moderno - è un'ovvietà - non può essere certo racchiusa tra due parentesi81... Dovremmo, altrimenti, essere diversi da come siamo e notoriamente il principio di identità ce lo impedisce. E' piuttosto su un altro terreno, quello del novum ius commune - nell'accezione di Tomás - che il passato e il presente si pongono in una relazione di continuità (oltre che di rilevate differenze nel costituzionalismo post­bellico), rendendo forse più produttivo e intelligibile il dialogo tra giuristi. Più che l'Europa del mercato, dei poteri e delle competenze, è l'Europa dei diritti che 'ha bisogno' del passato.

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VII. La Carta dei diritti e le «tradizioni costituzionali comuni»

Questo 'nuovo' diritto comune europeo - forse la risposta più significativa alla crisi dello jus publicum europaeum - si è sedimentato nel corso del tempo. Non è un caso che diversi commentatori abbiano impiegato per definire il risultato più vistoso di questo sviluppo - la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - il riferimento pregnantissimo al Bill of Rights82. Questa volta senza una Glorious Revolution, la Carta avrebbe consolidato «... i veri, antichi e incontestabili diritti e libertà del popolo...»83, in verità i diritti fondamentali già a fondamento dell'Unione, «al fine di sancirne in modo visibile l'importanza capitale e la portata per i cittadini...»84 europei. Rendere più visibili i diritti e quindi le tradizioni comuni in un documento unitario e solenne avrebbe assolto ad una funzione ricognitiva, essenzialmente 'conservatrice'. Peter Häberle ha ricordato il concetto di Nachführung («direzione che si forma attraverso un'evoluzione graduale») coniato in Svizzera come processo per arrivare a chiarificare, sistematizzare e precisare l'esistente, dando maggiore 'trasparenza' alla realtà85. I valori comuni, derivanti da un patrimonio spirituale e morale, sono dichiarati indivisibili e universali, e proprio il principio di indivisibilità e di non gerarchizzazione è uno degli aspetti innovativi del Restatement, a dimostrazione del fatto che la Carta rispecchia una modalità tecnica di elaborazione che si distacca, almeno in parte, dal modo più tradizionale di sistematizzare i diritti86. In questa dimensione 'propositiva' a forte valenza assiologica e incentrata su un catalogo dei diritti almeno in parte innovativo87 molti scorgono oltre al più complessivo carattere simbolico della Carta, un primo fondamentale presupposto per rafforzare l'Unione sul piano della legittimità dandogli forza espansiva88 e facendone quindi un probabile «...sostanziale parametro di riferimento per tutti gli attori - Stati membri, istituzioni, persone fisiche e giuridiche - della scena comunitaria...»89. La Carta dovrebbe essere - prima ancora che il problema formale del suo status e della sua efficacia giuridica venga 'risolto' dalla Convenzione sul futuro dell'Europa90 - il punto costante di riferimento nei lavori di quest'ultimo consesso impegnato nella ridefinizione dei poteri91 e delle istituzioni europee. Avere sempre presenti i diritti consentirebbe inoltre di ovviare al rischio, altrimenti reale, di separare artificiosamente gl'uni dagl'altri92.

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Non bisognerà però dimenticare un fatto: ovvero, che la Carta ha contribuito a 'codificare' anche la giurisprudenza europea in materia di diritti fondamentali. Questo è un legame importante per la vitalità della «tradizioni costituzionali comuni». La peculiarità dei caratteri istituzionali della Corte di Giustizia, gli strumenti e la tipologia di ricorsi sui quali può contare, la funzione pretoria (non isolatamente però) svolta nell'affermare la supremazia del diritto comunitario e nel rafforzare il sistema giuridico comunitario sono tutti profili ben noti93. E' dai primi anni '70 che la Corte del Lussemburgo si richiama alla tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e poi alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali quali presupposti del suo judicial activism contribuendo alla formazione di un vitale circuito a tre livelli ordinamentali fra le corti europee e le corti costituzionali94.

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Se il ruolo svolto dalle istituzioni di giustizia europea e, insieme, il contributo, più o meno convinto delle singole corti costituzionali, hanno trovato un crescente riconoscimento, pare troppo semplicistico affidarsi al carattere retorico e simbolico di quest'ultimo documento che, per molti aspetti, è rivolto all''esterno', in termini di proiezione identitaria e soprattutto di fines di civiltà dell'Europa. La scrittura però non è mai innocua e il rischio di 'immobilizzazione' e di 'isolamento' dei diritti dal contesto è ben presente allo storico95. Non è questa la sede per entrare nel merito della sistematica e dei singoli valori ispiratori dei principi che a loro volta fonderebbero i diritti sanciti dalla Carta. Qui interessa un altro aspetto. La Carta, come è stato giustamente osservato, è anche uno strumento diretto a «riequilibrare i rapporti fra diritto giurisprudenziale e diritto di formazione legislativa, e a conferire una certezza di tutela relativamente maggiore dei diritti fondamentali nei confronti degli atti dell'Unione»96. Si tocca allora con mano una delle questioni aperte di questa fase delicatissima della storia comunitaria. La Carta serve per affermare i diritti ai confini dell'Europa o per riportare la Corte dentro un terreno che essa stessa ha delimitato? Questo è un dilemma che riveste rilevanza dentro un orizzonte più vasto. La scrittura è 'politicamente' necessaria, ma rischia di inserire nei delicati meccanismi di evoluzione elementi di rigidità, non sempre così necessari, proprio in virtù del suo carattere fluido, processuale, 'materiale'.

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Quando Peter Häberle si riferisce al ruolo propulsivo della Corte di giustizia in materia di diritti fondamentali osserva anche come essa abbia fatto «comparazione giuridica in forma di giudizio»97 elaborando principi generali - ispiratori del complessivo ordine giuridico europeo - tratti per lo più dagl'ordinamenti degli Stati membri, anche se non sempre con il rigore necessario. E il carattere multinazionale della Corte ha contribuito a farne una «società aperta degli interpreti della costituzione»98. E' fin troppo suggestivo, forse, sentire in queste espressioni, in termini di novum ius commune, echi della fraseologia del cardinal Giovan Battista de Luca tanto evocativa del ruolo dei Grandi Tribunali di antico regime e tante volte ricordata da Gino Gorla. Non è un caso però che questi avesse compreso il carattere demistificante che la prospettiva europea imponeva alla ri-lettura - quasi passando per usi interpretativi tipici del common law - dell'art.12 delle Disposizioni preliminari al codice civile del 194299.

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La Corte di giustizia ha fatto ricorso ai principi generali derivanti dalle «tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri» dando vita ad un corpus di decisioni - incentrato fortemente sulla tutela dei diritti fondamentali - che ha poi trovato il riconoscimento e la valorizzazione di cui si diceva100. E' sul terreno dei principi101 - derivati più dalle costituzioni che dai codici - e delle «tradizioni costituzionali comuni» che appare dunque possibile elaborare un 'nuovo diritto comune' che abbia da un lato carattere 'patrimoniale', consolidatorio102, che si rivolga cioè al passato e quindi soprattutto alla storia degl'ordinamenti degli Stati membri, e dall'altro sia 'comunicante'103, in grado cioè di guardare al futuro indipendentemente dall'evoluzione del diritto posto dai trattati o, in altra prospettiva, da un Trattato-Costituzione. Per mantenere integra la natura dinamica dei principi, la funzione interpretativa delle tradizioni e la tensione vitale propria di una complessa dimensione culturale104 si dovrebbe evitare il rischio di vedere nel processo in atto il 'compimento' di un grande disegno dimenticando quanta strada rimane da compiere. Il lavoro di dissodamento e di evidenziazione del «patrimonio costituzionale comune»105 non è ancora soddisfacente106. Una storia costituzionale su scala europea, realmente comparata esiste solo per frammenti107. Le storie nazionali continuano ad avere il sopravvento. Le lacune restano vistose. La prospettiva concreta di un diritto comune del costituzionalismo non può prescindere da una cognizione più complessa, articolata e rigorosa delle tradizioni comuni, specialmente alla luce dell'allargamento dell'Unione a paesi che solo da pochi anni hanno potuto accogliere i valori e i principi fondamentali dello Stato costituzionale. Di fronte ad una Europa allargata, meno omogenea, l'unità e la diversità saranno messi ancor più in tensione. L'odierno processo di consolidamento - di segno essenzialmente empirico più che deliberativo - appare per vari profili necessario. Non si deve tuttavia dimenticare che la nozione di principi generali del diritto europeo (più ancora che del diritto comunitario) non può essere identificata quale mera 'estensione' di quella tradizionalmente operante negl'ordinamenti nazionali. Sono state le costituzioni del dopoguerra e l'interpretatio iuris delle Corti costituzionali ad offrire un ventaglio creativo o rafforzativo di principi tratti complessivamente dai singoli ordinamenti. Il circuito giurisdizionale di cui si è fatto cenno deve poter continuare a svolgere la funzione propositiva sin qui adempiuta108.

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Il novum ius commune - manifestazione di valori comuni, «nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli, dell'identità nazionale degli Stati membri e dell'ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale»109 - rischia di disseccarsi se privato di due dimensioni essenziali: la profondità e la complessità di tradizioni comuni nella storia costituzionale europea, l'interpretazione per principi come fattore evolutivo 'aperto' e ordinante, a prescindere da artificiose gerarchizzazioni. In fondo la ricerca di un 'diritto comune europeo' - quali ne siano le matrici e i presupposti - rinvia in ultima istanza ad una struttura che va oltre l'ordine comunitario inteso in senso formale e rimanda ad un circuito virtuoso che impegna una pluralità di soggetti (Stati, corti costituzionali, istituzioni comunitarie, corti europee)110. Perseguire una prospettiva di equilibrio sostenibile e sperabilmente efficace tra unità e diversità, tra visibilità e profondità potrebbe consentire all'Europa di avanzare nella sua missione possibile grazie ad una visione intimamente legata alla cultura e alla storia quali elementi 'costitutivi' di questo 'nuovo diritto comune'. Mai come oggi il costituzionalismo, pur con tutti i suoi limiti, sembra poter assurgere ad autentico ius commune europaeum posto a tutela dei diritti fondamentali. Manteniamone sane le radici affinché l'albero possa continuare a dare buoni frutti.

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note in calce:

* Il presente saggio è in corso di pubblicazione nella Rivista di Teoria del Diritto e dello Stato, 1/2003.

1 Cfr. per es. U. De Siervo (a cura di), La difficile Costituzione europea, Bologna, 2001.

2 Preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, I cpv.

3 Ivi, III cpv.

4 Il testo in www.european-convention.eu.int. Giscard individua ulteriormente il problema fondamentale nella «difficulté de conjuger un fort sentiment d'appartenance à l'Union européenne, et le maintien d'une identité nationale». Il recente testo (28 maggio 2003) del Preambolo, proposto del Presidium della Convenzione, parla di un'Europa «unita nella sua diversità».

5 Vedi C. Pinelli, Il momento della scrittura. Contributo al dibattito sulla Costituzione europea, Bologna, 2002, p. 206.

6 Sul punto v. soprattutto B. de Giovanni, L'identità dell'Europa, in Dall'Europa a Quindici alla Grande Europa. La sfida istituzionale, a cura di S. Guerrieri, A. Manzella, F. Sdogati, Bologna, 2001, pp. 19-40.

7 P. Häberle, Colloquio sulla "costituzione europea", a cura di P.Ridola, in Diritto romano attuale, 2, 1999, p. 211.

8 Secondo la ricostruzione di M. Cacciari, Geo-filosofia dell'Europa, Milano, 1994.

9 A. Giuliani, Presentazione a P. Stein, J. Shand, I valori giuridici della civiltà occidentale, Milano, 1981, p. XVIII.

10 Per il profilo analizzato v. soprattutto P.Grossi, Pagina introduttiva(ancora sulle fonti del diritto), in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 29, 2000, pp.1-10; Id., Globalizzazione e pluralismo giuridico (a proposito di: Maria Rosaria Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione-Diritto e diritti nella società trans-nazionale, Bologna, Il Mulino, 2000), ivi, pp. 551-558; R. Sacco, Frammentarietà, diversità e unità. Variabilità e storicità del diritto, in Diritto generale e diritti particolari nell'esperienza storica, Atti del Congresso internazionale della Società italiana di storia del diritto, Torino, 19-21 novembre 1998, Roma, 2001, pp. 423-433; P. Grossi, Il periodo medievale e moderno, ivi, pp.479-495; S. Mannoni, Globalizzazione, diritto, Stato, in AA.VV., Ordo iuris. Storia e forme dell'esperienza giuridica, Milano, 2003, pp. 359-372; A. Padoa Schioppa, Il diritto comune in Europa: riflessioni sul declino e sulla rinascita di un modello, in Il Foro italiano, 1996, vol.CXIX, parte V, pp.14-21; Id., Verso una storia del diritto europeo, in Studi di storia del diritto, III, Milano, 2001, pp.1-26; A. A. Cervati, Il diritto costituzionale europeo e la crisi della dogmatica statualistica, in Diritto romano attuale, 6, 2001, pp. 21-47; K. Å. Modéer, La comparazione come critica della cultura giuridica: un discorso tra globalizzazione e regionalizzazione, in Le Carte e la Storia, 2, 2002, pp.7-16.

11 Per es., da prospettive diverse, F. Ranieri, Der europäische Jurist. Rechtshistorisches Forschungsthema und rechtspolitische Aufgabe, in Ius commune, XVII, 1990, pp. 9-24, con ampia bibliografia; B. de Witte, C. Forded, The Common Law of Europe and the Future of Legal Tradition..., Deventer, 1992; L. Moccia (a cura di), I giuristi e l'Europa, Roma-Bari, 1997; P. Häberle, Colloquio sulla "costituzione europea", cit., p. 210; A. von Bogdandy, A Bird's Eye View on the Science of European Law: Structures, Debates and Development Prospects of Basic Research on the Law of the European Union in a German Perspective, in European Law Journal, 6, 2000; P. Häberle, Per una dottrina della Costituzione come scienza della cultura, Roma, 2001, pp. 142 ss.

12 Questa dimensione 'dualista' è stata colta per es. da G. Crifò, Pandettisti e storicisti nel diritto romano oggi, in Diritto romano attuale, 1, 1999, pp.25-26. Elementi di discussione, riferiti soprattutto al caso tedesco, anche in R. Schulze, Un nouveau domaine de recherche en Allemagne: l'histoire de droit européen, in Revue historique de droit français et étranger, 1, 1992, pp. 29-48.

13 Cfr. A. Wijffels, Alberico Gentili e i fondamenti storico concettuali del diritto comune europeo, in Alberico Gentili nel Quarto Centenario del De Jure Belli, Atti del Convegno, Milano, 2000, pp. 73 ss., con ulteriori riferimenti; A. Padoa Schioppa, Il diritto comune in Europa: riflessioni, cit.

14 W. Brauneder, Europäisches Privatrecht, aber was ist es?, in Zeitschrift für Neuere Rechtsgeschichte, 15, 1993, pp. 225-235. Cfr. inoltre Vers un droit privé européen commun? Skizzen zum gemeineuropäischen Privatrecht, a cura di B. Schmidlin, in Zeitschrift für Schweizerisches Recht, 6, 1994. Per un quadro d'insieme v. anche R. C. van Caenegem, I sistemi giuridici europei, Bologna, 2003, pp. 35-47.

15 Per l'essenziale v. l'ampio Un codice internazionale del diritto dei contratti: i principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali, Milano, 1995; e The principles of European Contract Law, a cura di O. Lando e H. Beale, Dordrecht, 1995 e 2000.

16 Sul punto v. infra, § IV.2.

17Les avatars d'un comparatiste, Paris, 1982, p.258.

18 Cfr. A. Wijffels, Arthur Duck et le ius commune européen, in Revue d'histoire des Facultés de droit et de la science juridique, 1990, pp. 193-221.

19 Come si può vedere nella rivista, pubblicata a partire dal 1993, Zeitschrift für Europäisches Privatrecht.

20 Sulla questione della europeizzazione della scienza giuridica, centrale nel dibattito tedesco, non si può ovviamente non ricordare il progetto scientifico connaturato all'attività del Max-Planck-Institut für Europäische Rechtsgeschichte di Francoforte sul Meno e al piano dell'Handbuch der Quellen und Literatur der neueren europäischen Privatrechtsgeschichte, München, 1973 e ss. (su cui v. taluni interventi pubblicati nella rivista Ius commune). In particolare di Helmut Coing si possono ricordare Die ursprüngliche Einheit der europäischen Rechtswissenschaft, Wiesbaden, 1967; Die europäische Privatrechtsgeschichte der neueuren Zeit als einheitliches Forschungsgebiet, in Ius Commune, I, 1967, pp.1-33; Europäisierung der Rechtswissenschaft, in Neue Juristische Wochenschrift, 15, 1990, pp. 939-941; Geschichtliche Grundlagen des Rechts im Kontinentalen Europa und im Common Law, in K.J. Hopt, Europäische Integration als Herausforderung des Rechts, Berlin, 1991, pp. 17 ss. .

21 Cfr. H. Kötz, Was erwartet die Rechtsvergleichung von der Rechtsgeschichte?, in Juristenzeitung, 47, 1992, pp. 20 ss.

22 R. Zimmermann, Diritto romano e unità giuridica europea, in Storia del diritto italiano, I, a cura di G. di Rienzo Villata, G. P. Massetto, A. Padoa Schioppa, Milano, 1996, pp. 1-25, in part. pp. 24-25. Di Zimmermann bisogna ricordare almeno l'importante The Law of Obligations. Roman Foundations of the Civilian Tradition, Cape Town - Johannesburg, 1990, e tra i suoi scritti di natura metodologica e più legati alla prospettiva del diritto comune europeo, Usus hodiernus Pandectarum, in Europäische Rechts-  und Verfassungsgeschichte. Ergebnisse und Perspektiven der Forschung, a cura di R. Schulze, Berlin, 1991; Das römisch-kanonische ius commune als Grundlage europäischer Rechtseinheit, in Juristenzeitung, 47, 1992, pp. 8 ss.; Civil Code and Civil Law. The «Europeanization» of Private Law within the European Community and the re-emergence of a European Legal Science, in Columbia Journal of European Law, I, 1994-95, pp. 63-105; Savignys Vermächtnis. Rechtsgeschichte, Rechtsvergleichungunddie Begründung einer Europäischen Rechtswissenschaft, in Norm und Tradition. Welche Geschichtlichkeit für die Rechtsgeschichte? - Fra norma e tradizione. Quale storicità per la storia giuridica?, a cura di P. Caroni, G. Dilcher, Köln-Weimar-Wien, 1998, pp. 281-320; Roman Law, Contemporary Law, European Law. The Civilian Tradition Today, Oxford, 2001. Per una discussione delle tesi di R. Zimmermann, v. R. Ogorek, Die Erbschaft ausschlagen?, in Norm und Tradition, cit., pp.183-190.

23 Per un'analisi chiarissima ed efficace delle 'pretese' della neopandettistica sulla storiografia v. M. Bretone, La «coscienza ironica» della romanistica, in Norm und Tradition, cit., pp.36-52.

24 Si veda la lettura puntuale ed equilibrata di G. Crifò, Pandettisti e storicisti nel diritto romano oggi, cit., pp.11-28. Una rivista, questa, che si segnala per originalità e taglio metodologico; una rivista che «è diversa, anzi metodologicamente è all'opposto, rispetto alle riviste di diritto romano della pandettistica e agli studi di heutiges römisches Recht, il diritto romano attuale nella scienza giuridica tedesca» (Il programma della rivista, ivi, p. 3).

25 Per una sintesi equilibrata v. R. C. van Caenegem, I sistemi giuridici europei, cit., pp. 49 ss.

26 R. Zimmermann, Der europäische Charakter des englischen Rechts, Historische Verbindungen zwischen civil law und common law, in Zeitschrift für Europäisches Privatrecht, 1993, pp. 4-51; Id., Diritto romano e unità giuridica europea, cit., pp.13 ss.; R. H. Helmholz, Continental Law and Common Law: Historical Strangers or Companions?, in Duke Law Journal, 1990, pp. 120 ss. Sul punto v. infra, § IV.2.

27 Cfr. per es. C. A. Cannata, Usus modernus Pandectarum e diritto europeo (a proposito di: H. Coing, Europäisches Privatrecht, I. Alteres Gemeines Recht, München, 1985), in Studia et documenta historiae et iuris, LII, 1986, pp. 435-442; Id., Il diritto europeo e le codificazioni moderne, ivi, LVI, 1990, pp.309-322; Id., Usus hodiernus pandectarum, common law, diritto romano olandese e diritto comune europeo, ivi, 1991, pp. 383-401. S. Schipani, La codificazione del diritto romano comune, Torino, 1999, p.36: «Con riferimento ai codici moderni, e limitandomi ai civili, mi sembra che, se li esaminiamo senza porci a priori all'interno della prospettiva statual-legalista, ci accorgiamo che essi consentirebbero di riaffermare la loro appartenenza al diritto romano comune, che attraverso di essi, permane "sostanza viva" del nostro diritto, base della permanente unità del sistema». Sul rapporto tra la giurisprudenza della Corte europea di giustizia e le categorie del diritto romano v. K. Luig, The History of Roman Private Law and the Unification of European Law, in Zeitschrift für Europäisches Privatrecht, 5, 1997, pp. 405-427. In generale v. R. Schulze, Vom Ius Commune bis zum Gemeinschaftsrecht - das Forschungsfeld der Europäischen Rechtsgeschichte, in Europäische Rechts-  und Verfassungsgeschichte, cit., pp. 3 ss.

28 M. Sbriccoli, Intervento, in Alberico Gentili nel Quarto Centenario del De Jure Belli, cit., p. 212.

29 P. Grossi, Modelli storici e progetti attuali nella formazione di un futuro diritto europeo, in Rivista di diritto civile, 3, 1996, parte I, pp. 281-286.

30 Al riguardo si veda l'importante volume curato da P. Caroni e G. Dilcher, Norm und Tradition, cit., Atti del convegno internazionale tenuto ad Ascona nel 1996 su neopandettismo e diritto comune europeo. Il dibattito incentrato su storicità e 'attualità' della tradizione romanistica mette al centro della discussione il problema della rilevanza della ricerca storico-giuridica come elemento di conoscenza ai fini del diritto vigente e del processo di unificazione europea. Si vedano in particolare i contributi di Caroni, Dilcher, Bretone, Grossi (intervento cit. nt.29). Di Caroni cfr. anche Der Schiffbruch der Geschichtlichkeit. Anmerkungen zum Neo-Pandektismus, in Zeitschrift für Neuere Rechtsgeschichte, 16, 1994, pp. 85-100. Utili elementi di discussione in G. Crifò, Pandettisti e storicisti, cit., pp.24 ss. e A. Mazzacane, «Il leone fuggito dal circo»: pandettistica e diritto comune europeo, in Index, 29, 2001, pp. 97-111.

31 Riprendo il riferimento a U. Eco, Opera aperta, Milano, 1987, 5 ed., da P. Costa, Storia giuridica: immagini a confronto, in Anuario de historia del derecho español, LXVII, 1997, I, p.76.

32 Su questi profili Paolo Grossi è ritornato a più riprese negl'ultimi anni. Si vedano almeno Modelli storici e progetti attuali, cit., p. 286 e Pagina introduttiva(ancora sulle fonti del diritto), cit., p.6.

33 A. Wijffels, Alberico Gentili e i fondamenti storico concettuali del diritto comune europeo, cit., pp. 180-181. Sulla pluralità di significati v. R. C. van Caenegem, I sistemi giuridici europei, cit., p. 22.

34 Oltre ai lavori di Paolo Grossi, cfr. M. Sbriccoli, Intervento, cit., p. 217: «Io ho una certa invidia per i giuristi positivi che pensano che gli sia consentito, di fronte ad una realtà storica lontana, di rilevare somiglianze, o magari apparenti identità con processi reali in atto e stabilire a loro piacimento l'esistenza di rassicuranti ricorsi storici. Agli storici questo non è consentito». Pietro Costa parla dell'analogia come «impercorribile scorciatoia» per lo storico (La cittadinanza fra Stati nazionali e ordine giuridico europeo: una comparazione diacronica, in Una costituzione senza Stato, a cura di G. Bonacchi, Bologna, 2001, p. 302).

35 Cfr. A. Hespahna, Introduzione alla storia del diritto europeo, Bologna, 1999, pp. 9 ss. Si vedano anche gl' interventi di Wiegand, A. Padoa Schioppa, Arnaud, Simitis, D. Simon, Stolleis, Giaro pubblicati in Rechtshistorisches Journal, 12, 1993, pp. 277 ss.

36 M. Ascheri, Le fonti e la flessibilità del diritto comune: il paradosso del consilium sapientis, in Legal Consulting in the Civil Tradition, a cura di M. Ascheri, I. Baumgärtner, J. Kirshner, Berkeley, 1999, p. 52.

37 Per la discussione di questo aspetto e per i relativi percorsi bibliografici, si rinvia a P. Cappellini, Juris prudentia versus scientia iuris: prolegomeni ad ogni futuro "lessico politico europeo", in Filosofia politica, 2, 1987, pp.314-316.

38 A. Padoa Schioppa, Il diritto comune in Europa: riflessioni, cit., p. 16.

39 Oltre a B. Paradisi, Il problema del diritto comune nella dottrina di Francesco Calasso (1980), ora in Studi sul medioevo giuridico Roma, 1987, II, pp. 1009-1112, è da vedere l'acuta analisi di P. Costa, 'Ius commune', Ius proprium', 'interpretatio doctorum': ipotesi per una discussione, in El dret comú i Catalunya, Actes del IV Simposi Internacional, Barcelona, 27-28 de maig de 1994, Barcelona, 1995, pp. 29-42.

40 Ivi, pp. 41-42.

41 Roma-Bari, 1995, in part. pp. 5-35. Cfr. anche Un diritto senza Stato (La nozione di autonomia come fondamento della costituzione giuridica medievale), in Quaderni fiorentini, 25, 1996, pp.267-284.

42 V. per es. la discussione ben documentata in T. Giaro, Europäische Privatrechtsgeschichte: Werkzeug der Rechtsvereinheitlichung und Produkt der Kategorienvermengung, in Ius commune, 21, 1994, pp. 1-43; Id., Römisches Recht, Romanistik und Rechtsraum Europa, ivi, 22, 1995, pp. 1-16.

43 «... perché è vero che quella lontana esperienza giuridica si è svolta su di un terreno comune, ma non sempre un terreno comune è la stessa cosa che un'esperienza unitaria. Noi possiamo avere un terreno comune, ma quello che c'è sopra, pur vivendo delle stesse risorse e alimentandosi alle stesse fonti, può assumere forme, fisionomie e ruoli assolutamente diversi» (M. Sbriccoli, Intervento, cit., p. 211).

44 Sui limiti di una visione unitaria della tradizione romanistica in Europa, sia su termini di sistema che di scienza, v. A. Mazzacane, «Il leone fuggito dal circo», cit., pp. 101 ss.

45 Della vasta produzione gorliana si vedano almeno la raccolta Diritto comparato e diritto comune europeo, Milano, 1981 e Il diritto comparato in Italia e nel «mondo occidentale» e una introduzione al «dialogo Civil law-Common law», Milano, 1983. Per il necessario inquadramento dei paradigmi interpretativi v., oltre ai saggi pubblicati in comune dallo stesso Gorla e da Luigi Moccia, di quest'ultimo in particolare Il legislatore del «diritto comune» continentale (sec. XVI XVII) nell'opera di Gino Gorla, in L'educazione giuridica, V, Modelli e scienza della legislazione, a cura di A. Giuliani e N. Picardi, Napoli, 1987, pp.69-108; La «comparazione» come «pedagogia» giuridica nell'opera di Gino Gorla, in Scintillae iuris. Studi in memoria di Gino Gorla, Milano, 1994, t. I, pp. 825-860; Prospetto storico delle origini e degli atteggiamenti del moderno diritto comparato (Per una teoria dell'ordinamento giuridico «aperto»), in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1996, pp. 181-193. Cfr. inoltre il profilo ricostruttivo in M. Ascheri, Gino Gorla tra diritto e storia: per il diritto comune europeo, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, XLIV, 1990, pp. 945-962 (pubblicato anche in Grandi Tribunali e Rote nell'Italia di antico regime, a cura di M. Sbriccoli e A. Bettoni, Milano, 1993, pp. XI-XXXIII).

46 Ancora utili sono le intuizioni e le piste di ricerca presenti in F. Vassalli, Osservazioni di uomini di legge in Inghilterra (1946), poi in Studi giuridici, vol.III, t.II, Studi vari (1942-1955), Milano, 1960, in part. p.580, nt.2. Fondamentale per comprendere i problemi di metodo e di interpretazione connessi al confronto tra common law e civil law è adesso il monumentale lavoro di A. Torre, Interpretare la Costituzione britannica. Itinerari culturali a confronto, Torino, 1997.

47 M. Lupoi, Alle radici del mondo giuridico europeo. Saggio storico comparativo, Roma, 1994; Id., Common law e civil law (alle radici del diritto europeo), in Il Foro italiano, CXVI, 1993, parte V, coll.431-440. Sulla monografia di Lupoi si veda la recensione di E. Conte, in Rivista di storia del diritto italiano, LXVIII, 1995, pp. 318-323.

48 Cfr. J.L. Halperin, Droit comparé et histoire du droit. A proposito di Pierre Legrand, Le droit comparé..., in Quaderni fiorentini, 30, 2001, t. II, pp.803-811. Di Halperin si veda inoltre Entre nationalisme juridique et communauté de droit, Paris, 1990, pp. 87 ss.

49European Legal Systems are not Converging, in International and Comparative Law Quarterly, 52, 1992, pp. 64-78; Sens et non sens d'un Code civil européen, in Revue internationale de droit comparé, 4, 1996, pp. 779-812, p.780 per i riferimenti relativi ai progetti di codice civile europeo; Uniformità, tradizioni giuridiche e limiti del diritto, in Politica del diritto, 1, 1997, pp. 3-26. V. anche P. Goodrich, Oedipus Lex: Psychoanalysis, History, Law, Berkeley, 1995. Contra soprattutto i volumi curati da B. S. Markesinis: The Gradual Convergence. Foreign Ideas, Foreign Influences and English Law on the eve of the twenty first century, Oxford, 1994; The Coming Together of the Common Law and the Civil Law, Oxford Portland, 2000.

50 La lettura interpretativa, su cui si basano le mie osservazioni, è quella di B. Clavero, Tomás y Valiente, storico costituzionale inedito, in Il modello costituzionale inglese e la sua recezione nell'area mediterranea tra la fine del '700 e la prima metà dell'800, Atti del Seminario internazionale di studi in memoria di Francisco Tomás y Valiente, Messina, 14-16 novembre 1996, a cura di Andrea Romano, Milano, 1998, p.28. Clavero ha poi dedicato una biografia al giurista valenciano, nella quale dà conto ampiamente della 'preoccupazione costituzionale' di Tomás: Tomás y Valiente. Una biografía intelectual, Milano, 1996.

51 Cit. da B. Clavero, Tomás y Valiente, storico costituzionale inedito, cit., pp.28-29.

52 F. Tomás y Valiente, El «ius commune europaeum » de ayer y de hoy, in Glossae. Revista de Historia del derecho europeo, 5-6, 1993 1994, pp.13-14. Importante è la pubblicazione postuma di alcuni scritti di Tomás, Constitución: escritos de introducción historíca, con introduzione di B. Clavero, Madrid, 1996.

53 B. Clavero, Tomás y Valiente, storico costituzionale inedito, cit., p 29. Il corsivo è mio.

54 Ivi.

55 Paolo Grossi rileva la centralità dello Stato nella complessiva visione scientifica di Tomás y Valiente, cogliendone alcuni profili di tensione rispetto alle valenze più innovative del costituzionalismo: Pagina introduttiva in B. Clavero, Tomás y Valiente, cit., pp. XXVI ss.

56 V. Enunciazione e giustiziabilità dei diritti fondamentali nelle Carte costituzionali europee. Profili storici e comparativi, Atti di un Convegno in onore di Francisco Tomás y Valiente, Messina, 15-16 marzo 1993, a cura di A. Romano, Milano, 1994.

57 Cfr. F. Tomás y Valiente, El «ius commune europaeum » de ayer y de hoy, cit., pp.14-16. L'autore cita uno scritto di Robert Alexy, verosimilmente la Theorie der Grundrechte, Frankfurt am Main, 1986. Sulla relativa teoria di Alexy v. G. Bongiovanni, R. Alexy e il costituzionalismo, e A. Rotolo, Morale, diritto e discorso pratico. Il contributo di R. Alexy, entrambi in La filosofia del diritto costituzionale e i problemi del liberalismo contemporaneo, a cura di G. Bongiovanni, Bologna, 1998, pp. 29-50 e 51-77.

58 L'espressione è utilizzata da B. Clavero, Tomás y Valiente, storico costituzionale inedito, cit., p. 30.

59 Ivi, p.31. Importanti gli studi di B. Clavero, Lo spazio dei diritti e la posizione dei giudici tra costituzione e codice, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 1, 1989, pp. 95-129; Id., Happy Constitution. Cultura y lengua constitucionales, Madrid, 1997; Id., Constituyencia de derechos entre América y Europa: Bill of Rights,We the People, Freedom's Law, American Constitution, Constitution ofEurope, in Quaderni fiorentini,29, 2000, pp.87-171.

60 Su questo fondamentale profilo ricordo P. Costa, Iurisdictio. Semantica del potere politico nella pubblicistica medievale (1100-1433), Milano, 1969, rist. 2002; A. Hespahna, Représentation dogmatique et projets de pouvoir. Les outils conceptuels des juristes du jus commune dans le domaine de l'administration, in Wissenschaft und Recht der Verwaltung seit dem Ancien Régime, a cura di E.V. Heyen, Frankfurt am Main, 1984, pp. 3-28; L. Mannori, Per una 'preistoria' della funzione amministrativa: cultura giuridica e attività dei pubblici apparati nell'età del tardo diritto comune, in Quaderni fiorentini, 19, 1990, pp. 323-504; A. Hespahna, Justiça e administraçâo entre o antico regime e a revoluçâo, in Hispania: Entre derechos propios y derechos nacionales, a cura di B. Clavero, P. Grossi, F. Tomás Y Valiente, Milano, 1990, I, pp.135-204; J. Vallejo, Ruda equidad, ley consumada: Concepción de la potestad normativa, 1250-1350, Madrid, 1992; A. Hespahna, La gracia del derecho: economia de la cultura en la edad moderna, Madrid, 1993; L. Mannori, Il sovrano tutore. Pluralismo istituzionale e accentramento amministrativo nel principato dei Medici (secc. XVI-XVIII), Milano, 1994; P. Grossi, L'ordine giuridico medievale, cit.; L. Mannori, Giustizia e amministrazione tra antico e nuovo regime, in Magistrati e potere nella storia europea, a cura di R. Romanelli, Bologna, 1997, pp. 39-65; J. Vallejo, Acerca del fruto del árbol de los jueces: escenarios de la justicia en la cultura del ius commune, in Anuario de la Facultad de Derecho de la Universidad Autónoma de Madrid, 2, 1998, pp. 19-46; L. Lacchè, Il potere giudiziario come «potere politico» in Attilio Brunialti, in Storia Amministrazione Costituzione, 7, 1999, pp.36-41; P. Prodi, Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto, Bologna, 2000; B. Clavero, 'Iurisdictio' nello specchio o el silencio de Pietro Costa, in P.Costa, Iurisdictio, cit., pp.XIX-LXXX.

61 Cfr. P. Costa, Discurso jurídico e imaginación. Hipótesis para una antropología del jurista, in Pasiones del jurista. Amor, memoria, melancolía, imaginacíon, a cura di C. Petit, Madrid, 1997, pp. 161-190.

62 Per una messa a punto dei temi fondamentali v. C. Pinelli, Il momento della scrittura, cit., pp.183 ss.

63 Cfr. A. Anzon, La costituzione europea come problema, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2000, p. 657; S. Gambino, Verso la formazione di un diritto comune europeo: metodo comparatistico e ricerca costituzionale, in Politica del diritto, 1, 2001, p.43.

64 Elementi di sintesi in G. Marramao, L'Europa dopo il Leviatano. Tecnica, politica, costituzione, in Una costituzione senza Stato, cit., pp. 121 ss.

65 D. Grimm, Una costituzione per l'Europa? (1994), in Il futuro della costituzione, a cura di G. Zagrebelski, P.P.Portinaro, J. Luther, Torino, 1996, p.367.

66 Per questa posizione in Italia, pur con differenze di accenti e di impostazione, per es. M. Luciani, Legalità e legittimità nel processo di integrazione europea, in Una costituzione senza Stato, cit., p.71-87; A. Pace, La dichiarazione di Laeken e il processo costituente europeo, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 3, 2002, pp.613-650; F. Bilancia, Brevi note su costituzione materiale, legalità ed Unione europea, in La costituzione materiale. Percorsi culturali e attualità di un'idea, a cura di A. Catelani e S. Labriola, Milano, 2001; S. Gambino, Verso la formazione di un diritto comune europeo, cit.

67 Per tutti P. Häberle, Colloquio sulla "costituzione europea", cit., p.199: «L'assetto costituzionale dell'Europa, e correlativamente il processo di strutturazione di essa, non si possono comprendere con le categorie della Allgemeine Staatslehre».

68 G. Zagrebelski, Il diritto mite. Legge diritti giustizia, Torino, 1992, p.10. Si veda anche La nuova età delle costituzioni. Da una concezione nazionale dellademocrazia a una prospettiva europea e internazionale, a cura di L. Ornaghi, Bologna, 2000.


69 Per tutti S. Cassese, Lo spazio giuridico globale, Roma Bari, 2003, pp. 82-92.

70 J. Habermas, Una costituzione per l'Europa? Osservazioni su Dieter Grimm, in Il futuro della Costituzione, cit., pp.369-375; Id., Perché l'Europa ha bisogno di una costituzione?, in Una costituzione senza Stato, cit., pp. 145-166. Pur con notevoli differenze, v. J.H.H. Weiler, The Constitution of Europe, Cambridge, 1999, pp. 324 ss.; Id., Why Should Europe be a Democracy: The Corruption of Political Culture and the Principle of Constitutional Tolerance, in The Europeanisation of Law. The Legal Effects of European Integration, a cura di F. Snyder, Oxford Portland, 2000, pp. 213 ss.

71 Per il dibattito sull'esistenza o meno di una 'costituzione' e in base a quali presupposti, v. A. Barbera, Esiste una «Costituzione europea»?, in Quaderni costituzionali, 1, 2000, pp. 59 ss.; C. Pinelli, Il momento della scrittura, cit., pp. 187 ss.; P. Craig, Constitutions, Constitutionalism and the European Union, in European Law Journal, 2, 2001, p.136; G.G. Floridia, Una costituzione per l'Europa. Ma in che senso? (appunti definitori e di metodo), in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2, 2002, pp.579-595; S. Cassese, Lo spazio giuridico globale, cit., pp. 27 ss.

72 Questa espressione è stata utilizzata per la prima volta nella Dichiarazione di Laeken.

73 C. Pinelli, Il momento della scrittura, cit., pp. 195-196. Cfr. anche M. Fioravanti, S. Mannoni, Il «modello costituzionale» europeo: tradizioni e prospettive, in Una costituzione senza Stato, cit., pp. 23-70; A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale europeo, Bologna, 2002.

74 Cfr. L. Lacchè, La Costituzione belga del 1831, in Storia Amministrazione Costituzione, 9, 2001, pp. 74-76.

75 Cfr. A. Spadaro, Dalla Costituzione come «atto» (puntuale nel tempo) alla Costituzione come «processo» storico. Ovvero della continua evoluzione del parametro costituzionale attraverso i giudizi di costituzionalità, in Quaderni costituzionali, 3, 1998, pp. 343 ss.

76 P. Häberle, Colloquio sulla "costituzione europea", cit. Cfr. F. Politi, Stato costituzionale e Kulturstaat nel pensiero di Peter Häberle, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2, 2002, pp. 463-465.

77 Cfr. in particolare I. Pernice, Multilevel Constitutionalism and the Treaty of Amsterdam: European Constitution Making Revisited?, in Common Market Law Review, 36, 1999, pp. 703 ss.; I. Pernice, F. Meyer, De la constitution composée de l'Europe, in Revue trimestrielle de droit européen, 2000, pp. 623-647. Per una discussione critica di questa teoria v. M. Luciani, Legalità e legittimità, cit., pp. 84-85.

78 K.H. Ladeur, Towards a Legal Theory of Supranationality. The Viability of the Network Concept, in European Law Journal, 1997; L'Europa delle reti, a cura di A. Predieri, M. Morisi, Torino, 2001; F. Scharpf, Verso una teoria della multilevel governance in Europa, in Rivista italiana di politiche pubbliche, 1, 2002; S. Cassese, Lo spazio giuridico globale, cit., pp. 21 ss., con ulteriore bibliografia. Sull'uso dell'immagine della rete v. P. Grossi, Dalla società di società alla insularità dello Stato fra Medioevo ed età moderna, Napoli, 2003, pp.16 ss. Per un approccio di 'teoria dialettica' del diritto v. F. Ost, M. van de Kerchove, De la pyramide au réseau?Vers un nouveau mode de production du droit?, in Revue interdisciplinaire d'études juridiques, 44, 2000, pp. 1-82; F. Ost, M. van de Kerchove, De la pyramide au reseau? Pour une théorie dialectique du droit, Bruxelles, 2002. L'uso di queste metafore è stato discusso in una prospettiva interculturale nel n.49, 2002, della Revue interdisciplinaire d'études juridiques, diretta dai due studiosi belgi.

79 E' d'obbligo il rinvio a M. Fioravanti, specialmente le raccolte di saggi Stato e costituzione. Materiali per una storia delle dottrine costituzionali, Torino, 1993; La scienza del diritto pubblico. Dottrine dello Stato e della Costituzione tra Otto e Novecento, Milano, 2001, 2 tomi.

80 Per la più informata discussione del problema, v. S. Cassese, Lo spazio giuridico globale, cit., pp.55 ss., cui si rinvia anche per gli orientamenti bibliografici. Per una acuta riflessione sul problema della «sovranità ripartita» e dell'esercizio di competenze in ambito comunitario, cfr. E. Cannizzaro, Esercizio di competenze e sovranità nell'esperienza giuridica dell'integrazione europea, in Rivista di diritto costituzionale, 1, 1996, pp. 75-123. Sul concetto di commonwealth v. soprattutto N. MacCormick, La sovranità in discussione. Diritto, stato e nazione nel «commonwealth» europeo, Bologna, 2003.

81 Lo sottolinea G. Marramao, L'Europa dopo il Leviatano, cit., p. 133.

82 K. Lenaerts e E.E. de Smuter, A «Bill of Rights» for the European Union, in Common Market Law Review, 2001.

83Bill of Rights, 13 febbraio 1689. Sul carattere ricognitivo e consolidatorio della Carta v. A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale europeo, cit. Questa interpretazione ha trovato conferma, per es., nelle conclusioni formulate l'8 febbraio 2001 dall'Avvocato generale Antonio Tizzano nella causa Bectu c/Secretary of State for Trade and Industry dinanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità europee: «Tuttavia anche a non volere entrare qui nell'ampio dibattito già in corso circa gli effetti che, in altre forme e per altre vie, la Carta potrebbe comunque produrre, resta il fatto che essa racchiude enunciazioni che appaiono in gran parte come ricognitive di diritti già altrove sanciti...» (cit. da E. Paciotti, La Carta dei diritti fondamentali: una novità istituzionale, in Una Costituzione senza Stato, cit., p.449). Sulla Carta v. A. Manzella, P. Melograni, E. Paciotti, S. Rodotà, Riscrivere i diritti in Europa, Bologna, 2001; L'Europa dei diritti, a cura di R. Bifulco, M. Cartabia, A. Celotto, Bologna, 2001; A. Pace, A che serve la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea? Appunti preliminari, in Giurisprudenza costituzionale, 2000, pp. 193 ss.; M. P. Chiti, La Carta europea dei diritti fondamentali: una carta di carattere funzionale?,in Rivista trimestrale di diritto pubblico,1, 2002.

84 Consiglio europeo, allegato IV, Decisione del Consiglio europeo relativa all'elaborazione di una Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, Colonia, 3-4 giugno 1999.

85 P. Häberle, Colloquio sulla "costituzione europea", cit., p. 2.

86 V. E. Paciotti, La Carta dei diritti fondamentali: una novità istituzionale, cit., p.446; A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale europeo, cit., pp. 108-109; C. Pinelli, Il momento della scrittura, cit., pp. 215 ss.

87 Come si coglie, del resto, dal IV capoverso del Preambolo: «A tal fine è necessario... rafforzare la tutela dei diritti fondamentali alla luce dell'evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici». Cfr. S. Rodotà, Tra diritti e mercato: una cittadinanza europea possibile, in Una Costituzione senza Stato, cit., pp. 451 ss.

88 G.G. Floridia, Una costituzione per l'Europa. Ma in che senso?, cit., p. 592.

89 Conclusioni dell'Avvocato generale nella causa Bectu c/Secretary of State for Trade and Industry, cit.

90 Ma sui vari effetti della Carta, v. in particolare A. Pace, La dichiarazione di Laeken, cit., pp. 626-627.

91 J. H. H. Weiler, Diritti umani, costituzionalismo ed integrazione: iconografia e feticismo, in Quaderni costituzionali, 3, 2002, pp. 521 ss. Cfr. anche L. S. Rossi, La Carta dei diritti come strumento di costituzionalizzazione dell'ordinamento dell'UE, ivi, pp. 565 ss.

92 M. Cartabia, Allargamento e diritti fondamentali nell'Unione europea. Dimensione politica e dimensione individuale, in Dall'Europa a Quindici alla Grande Europa, cit., p. 126.

93 Cfr. J. H. H. Weiler, Il sistema comunitario europeo, Bologna, 1985; E. Stein, Giuristi, giudici e la creazione di una costituzione transnazionale (1987), in Id., Un nuovo diritto per l'Europa. Uno sguardo d'oltreoceano, Milano, 1991, pp. 17-43; J.H.H. Weiler, R. Dehousse, G. Bebr, Primus Inter Pares. The European Court and National Courts: Thirty Years of Cooperation, Firenze, 1988;B. de Witte, The Past and Future Role of the European Court of Justice in the Protection of Human Rights, in The EU and Human Rights, a cura di Ph. Alston, Oxford, 1999, pp. 859 ss.; A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale europeo, cit., pp. 163 ss. Per le prospettive di riforma del sistema giurisdizionale comunitario v. E. Chiti, G.P. Manzella, J.P. Miranda de Sousa, La Corte di giustizia, in Dall'Europa a Quindici alla Grande Europa, cit., pp.211-240.

94 Su questi processi si rinvia a C. Pinelli, Il momento della scrittura, cit., pp. 119 ss. Per la circolazione dei precedenti tra Corti costituzionali, v. G. Lombardi, La fase attuale dello «ius publicum europaeum», in Enunciazione e giustiziabilità dei diritti fondamentali nelle Carte costituzionali europee, cit., pp. 89 ss.

95 V. la discussione in P.Grossi, Pagina introduttiva (Storia e cronistoria dei 'Quaderni fiorentini'), in Quaderni fiorentini, 30, 2001, t.I, pp. 6-12.

96 C. Pinelli, Il momento della scrittura, cit., p. 215. Sul paradosso della Carta - che dovrebbe ridimensionare il potere della Corte comunitaria, ma rischia, in mancanza di un suo valore vincolante, di accrescerne il ruolo creativo - v. L. Azzena, Prospettive della Carta europea dei diritti e ruolo della giurisprudenza, in I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza. Il costituzionalismo dei diritti, a cura di G. F. Ferrari, Milano, 2001, p. 126.

97 Ma sul metodo scarsamente comparativo della Corte di Giustizia v. G. F. Ferrari, I diritti tra costituzionalismi statali e discipline transnazionali, in I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza, cit., pp. 93 ss.

98 P. Häberle, Colloquio sulla "costituzione europea", cit., pp.202-203.

99 G. Gorla, Diritto comparato e diritto comune europeo, cit., pp. 649 e 700 ss. Sulla persistente lettura statualistica dei principi generali v. per tutti le osservazioni di P. Grossi, Un diritto senza Stato, cit., pp. 273 ss.

100 Non sfuggono tuttavia i profili di 'arretratezza' della Carta rispetto all'acquis giurisprudenziale: cfr. per es. G. di Plinio, La Carta dei diritti nel processo di integrazione europea, in I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza, cit., pp. 149 ss.

101 Sull'argomento rinvio a G. Zagrebelski, Il diritto mite, cit., pp. 147 ss.; J.P. Puissochet, La Cour de Justice et les principes généraux de droit, in Congrès des avocats européens, La protection juridictionnelle des droits dans le système communautaire, Bruxelles, 1997, pp. 1 ss.; G. Gaja, Identifyng the status of general principles in European community law, in Scritti in onore di G. F. Mancini, Milano, 1998, pp. 445 ss.; A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale europeo, cit., passim.

102 Sul punto v. L. Gianformaggio, Tempo della costituzione, tempo della consolidazione, in Politica del diritto, 4, 1997, pp. 527-551.

103 Sulla contaminatio fra sistemi e sulla vicenda inglese che ha portato nel 1998 alla ratifica, con l'Human Rights Act, della Convenzione europea dei diritti umani, v. i saggi raccolti in Promoting Human Rights Through Bills of Rights, a cura di A. Alston, Oxford, 1999 e E. Ceccherini, La codificazione dei diritti nelle recenti costituzioni, Milano, 2002, pp. 40 ss.

104 Sul nesso fondamentale tra approccio kulturwissenschaftlich, cultura giuridica europea e prospettive del gemeineuropäisches Verfassungsrecht è d'obbligo il rinvio a P. Häberle, Colloquio sulla "costituzione europea", cit. e Id., Per una dottrina della Costituzione come scienza della cultura, cit. Cfr. anche Gemeinsames Verfassungsrecht in der Europäischen Union, a cura di P.C. Müller Graff e E. Riedel, Baden Baden, 1998. Di notevole interesse risulta il saggio di A. A. Cervati, Il diritto costituzionale europeo, cit. Per una analisi storico-giuridica del concetto di «cultura» v. le osservazioni di H. Mohnhaupt, Europäische Rechtsgeschichte und europäische Integration. Kulturelle Bedingungen Europäischer Rechtseinheit und Vergleichende Beobachtungen, in Europäische Rechtsgeschichte und europäische Integration, Institutet för Rättshistorisk Forskning, Stockholm, 2002, pp. 17-57.

105 Sul punto v. l'importante ricostruzione di A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale europeo, cit. Cfr. inoltre Le patrimoine constitutionnel européen, Strasbourg, 1997; R. Dehousse, Naissance d'un constitutionalisme transnational, in Pouvoirs, 96, 2001, pp. 19 ss.; M. Fioravanti, S. Mannoni, Il «modello costituzionale» europeo: tradizioni e prospettive, cit.; S. Gambino, Verso la formazione di un diritto comune europeo, cit.

106 Non potendo in questa sede sviluppare il problema storiografico dei contenuti e dei 'confini' della storia costituzionale, rinvio ad un saggio in corso di elaborazione, che apparirà nell'annata del Giornale di storia costituzionale.

107 Tra i più recenti progetti collettivi di ricerca segnalo Europäische Rechts-  und Verfassungsgeschichte, cit.; i volumi curati da Andrea Romano, Alle origini del costituzionalismo europeo, Messina, 1991; Enunciazione e giustiziabilità dei Dirittinelle carte costituzionali europee, cit.; Il modello costituzionale inglese e la sua recezione nell'areamediterranea tra la fine del '700 e la prima metà dell'800, cit.; le ricerche promosse da P. Schiera e M. Kirsch, Denken und Umsetzung des Konstitutionalismus in Deutschland undeuropaischen Ländern in der ersten Hälfte des 19. Jahrhunderts,Berlin, 2000; Verfassungswandel um 1848 im europäischen Vergleich, Berlin, 2001; da G. Manca, L'istituzione parlamentare nel XIX secolo. Una prospettivacomparata..., Bologna-Berlin, 2000; Parlamento e costituzione nei sistemi costituzionali europei ottocenteschi, Bologna-Berlin, 2003, in corso di stampa; il volume curato da H. Dippel, Executive and Legislative Powers in the Constitutions of 1848-49, Berlin,1999.
Mi piace infine ricordare due riviste, nate di recente, dedicate alla storia costituzionale europea, una spagnola, pubblicata dal Dipartimento di diritto pubblico dell'Università di Oviedo, Historia Constitucional. Revista electrónica de HistoriaConstitucional, il cui primo numero risale al 2000 (http://constitucion.rediris.es/revista/hc/index.html), l'altra italiana, sorta nel 2001, il Giornale di storia costituzionale, semestrale del Laboratorio di storia costituzionale "A.Barnave" dell'Università di Macerata, diretta da R. Martucci e dal sottoscritto e pubblicata dall'editore Quodlibet.

108 Vedi R. Toniatti, La via giurisdizionale per la legittimazione dell'Unione europea, in Diritto pubblico comparato europeo, 2001, pp. 186 ss.

109 Carta dei diritti fondamentali dell'UE, Preambolo, III cpv.

110 Cfr. J. Mertens de Wilmars, Pluralisme et intégration européenne, in Libertés, pluralisme et droit. Une approche historique, a cura di H. Van Goethem, L. Waelkens, K. Breugelmans, Bruxelles, 1995, pp. 13 ss.

Beitrag vom 17. Juli 2003
© 2003 fhi
ISSN: 1860-5605
Erstveröffentlichung
17. Juli 2003

  • Zitiervorschlag Luigi Lacchè, Europa una et diversa. A proposito di ius commune europaeum e tradizioni costituzionali comuni (17. Juli 2003), in forum historiae iuris, https://forhistiur.net2003-07-lacche