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Anastasja A. Stepkine

Aspetti dell’affectio maritalis nelle dinamiche del matrimonio romano

1. Introduzione

1Al fine di mettere in luce l’importanza dell’affectio maritalis1, appare opportuno, in primo luogo, esaminare l’istituto del matrimonium e soffermarsi, quindi, sul rilievo del consenso espresso dai nubendi in relazione al rapporto coniugale.

2Il matrimonio, contratto tra due soggetti di sesso diverso e appartenenti a nuclei familiari differenti, inseriva pienamente uxor e vir nelle logiche della familia Romana2, guidata dal pater familias3, la cui formazione, nella celeberrima connotazione ciceroniana, costituiva componente fondamentale della civitas4.

3La dottrina giusromanistica5, nel tempo, ha così potuto evidenziare del matrimonium la rilevanza sociale o l’appartenenza alla categoria dei negozi giuridici, ponendo ora l’accento sui riti (comuni, ma non indispensabili) legati alla nascita del rapporto, ora sugli elementi ritenuti essenziali per la produzione degli effetti giuridici e, quindi, per la realizzazione di un matrimonium iustum6.

4Il concetto di matrimonio7, come noto, fu oggetto di definizione da parte di Modestino (Nuptiae sunt coniunctio maris et feminae et consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio8) le cui indicazioni furono sostanzialmente recepite nelle Istituzioni imperiali9.

5Accanto all’esigenza di una volontà costante di condividere un’unione monogamica stabile, era necessario che i soggetti godessero del conubium, fossero puberi e muniti, se del caso, dell’assenso dei loro patres familias10. I principii monogamico, della consensualità e dell’esogamia si possono quindi considerare essenziali per la validità delle nuptiae11: si tratta di profili notissimi, che fanno emergere con chiarezza i ‘problemi’ correlati con la sussistenza dell’affectio tra i coniugi o, pure, della possibilità di bigamia12 e, al limite, del matrimonio incestuoso13.

6In età classica, il vincolo matrimoniale era considerato l’esito di una scelta da parte dell’individuo, che poteva essere però sottoposto a limiti di interesse pubblico: su tutti, quelli nascenti dal complesso legislativo di matrice augustea14 (per esigenze di carattere demografico, per la posizioni dei celibi e degli orbi ecc.15).

7Diversamente, i limiti posti avverso il soddisfacimento di interessi privati, sin dagli ultimi anni del principato, potevano esser considerati illeciti16. In particolare, veniva dichiarata invalida la sponsio con la quale si obbligavano i fidanzati a contrarre matrimonio, oppure la stipulatio con la quale veniva promesso il pagamento di una somma di denaro in caso di contrazione di matrimonio.

8La libertà di contrarre matrimonio poteva, poi, subire limitazioni per atto inter vivos o mortis causa17. In particolare, con la lex Iulia et Papia, Augusto rese espressamente illecite tutte le disposizioni che escludevano in modo assoluto18 la facoltà del destinatario di contrarre matrimonio, mentre continuarono ancora ad essere considerate valide quelle con le quali si tendeva a favorire il matrimonio anche con una determinata persona. Tale lex, però, riconosceva la liceità della condicio viduitatis19, in quanto la stessa, seppur comportava un limite alla libertà di matrimonio, teneva in considerazione il desiderio del coniuge superstite di restare fedele al proprio defunto. Nel caso inverso, la lex Iulia et Papia stabiliva che se il superstite avesse voluto risposarsi e avesse contratto nuove nozze entro un anno20, avrebbe potuto conseguire immediatamente e definitivamente il lascito solo dopo aver giurato di acquisirlo quaerendorum liberorum causa21; mentre qualora non si fosse sposato entro l'anno, avrebbe conseguito ugualmente il lascito, ma avrebbe dovuto restituirlo a seguito delle nuove nozze.

9Al vincolo matrimoniale poteva accompagnarsi la conventio in manum22, per effetto della quale la moglie cadeva sotto la manus del marito, mutava il suo status familiae e perdeva iure civili ogni legame di agnatio con la sua famiglia di origine per costituirne uno nuovo con la famiglia del coniuge.

10Occorre precisare che in età arcaica e nella prima età preclassica i matrimoni cum manu costituivano la regola, mentre quelli sine manu l’eccezione23. Successivamente, a seguito della sempre maggiore indipendenza che le donne acquisirono all’interno della società romana, iniziarono a diffondersi anche i matrimoni liberi, finché negli ultimi tempi della Repubblica i matrimoni sine manu finirono per prevalere su quelli cum manu e decaddero ulteriormente nel periodo del Principato. Nell’ultima età classica, infatti, la conventio in manum era ormai applicata raramente e man mano scomparve del tutto.

11Qualora il matrimonio fosse stato sinemanu, la moglie avrebbe mantenuto il proprio status familiae: se era sui iuris sarebbe rimasta tale; mentre se filia familias avrebbe continuato ad essere assoggettata alla patria potestas del suo capofamiglia e quindi sarebbe rimasta estranea alla famiglia del marito e persino rispetto ai suoi figli. Quando, invece, il marito era il titolare della manus sulla moglie, spettavano a lui (o al pater, se egli fosse stato alieni iuris) generali poteri di controllo e sanzionamento delle condotte della uxor (incluse possibilità di punizioni fisiche), che contribuiscono ad illustrare lo squilibrio delle posizioni tra i coniugi24.

12Nonostante l’importanza dell’istituto del matrimonio in diritto romano, la giurisprudenza classica non ha compiuto, come per altri istituti, un’elaborazione sistematica della dottrina matrimoniale25. Uniche monografie sulle quali, per quanto attestato dalle fonti, si catalizzò in modo esclusivo un interesse limitato al matrimonio appaiono esser state il De nuptiis di Nerazio Prisco26, nonché il Liber singularis de ritu nuptiarum di Modestino27, dei quali abbiamo esigui frammenti28.

2. Cenni sulla definizione di matrimonio

13Dalle fonti pervenuteci si desume che, già a partire dalle origini del diritto romano, l’istituto in oggetto era permeato da forte sacralità29.

14In particolare, dall’esame del testo dell’Aulularia di Plauto30 emerge la differenza terminologica, che rispecchia anche quella sociale, tra uomo e donna31. Infatti, il vir aveva un ruolo preminente, atteso che era colui che prendeva in moglie la donna (o la ‘riceveva’ dal padre o dal fratello della stessa32). Diversamente per la uxor l’atto di contrarre le nozze veniva identificato dal verbo nubere, che di per sé indica soltanto il prendere il velo, lasciando intendere che la donna aveva un ruolo meramente passivo, infatti non si sposava ma veniva sposata, mutando solo la sua condizione in mater familias33.

15Quanto alla definizione di matrimonio, pare opportuno, seguendo la migliore dottrina34, improntata alle formulazioni testuali dei giuristi romani, di riferirne sotto il risvolto concettuale consortium onmis vitae e della societas coniugalis.

16In ordine alla prima, la più nota definizione di matrimonio, in epoca classica, è quella già citata ed appartenente a Modestino, che per comodità torno a riportare35: Nuptiae sunt coniunctio maris et feminae et consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio. Dall’analisi della definizione in oggetto36 è possibile evincere che lo scopo del matrimonio fosse laprocreazione e la cura dei figli. Difatti il giurista ha utilizzato, anziché le parole vir e uxor, i termini mas e femina accostandoli a coniunctio.

17L’importanza della procreazione è messa in risalto dalla Lex Iulia et Papia, nonché dalla legislazione successiva37: che il matrimonio sia contratto liberorum quaerendorum causa appare la finalità incontestata per la quale i consortes instauravano fra loro una piena comunanza di vita38.

18L’idea della perpetuità del vincolo derivava dalla concezione preclassica di matrimonio, con le connesse conseguenze relative alla dimensione del ius sacrum e, non a caso, anche per la limitata ammissibilità del divorzio. Del resto, l’espressione divini et humani iuris communicatio, secondo parte della dottrina romanistica39, costituisce la testimonianza del fatto che la comunione dei coniugi veniva disciplinata tanto dal ius sacrum quanto dal ius civile, per cui il consortium omnis vitae aveva natura sacra e, al contempo, profana.

19Dubbi, poi, sono stati sollevati in ordine all’ambito applicativo dell’enunciazione in parola. Secondo alcuni40, la definizione sarebbe onnicomprensiva, estendendosi anche al matrimonium iniustum; secondo altri41, invece, sarebbe ascrivibile al solo matrimonium iustum proprio perché il giurista lo definisce divini et humani iuris communicatio.

20Oltre alla definizione data da Modestino occorre far riferimento al pensiero del suo maestro. Ulpiano42, infatti, allude ad una nozione di matrimonium43in linea con quello che sarà l’enunciato modestiniano, sottolineando come tale istituto avesse un fondamento di ius naturale44, e facendo evidentemente suppore una corrispondenza di idee comune alla ‘scuola’ in cui la categorizzazione maschio/femmina fosse centrale. I testi da tener presenti sono, ovviamente45:

21Ulp. 1 Inst. D.1.1.1.3

22Ius naturale est, quod natura omnia animalia docuit: nam ius istud non humani generis proprium, sed omnium animalium, quae in terra, quae in mari nascuntur, avium quoque commune est. Hinc descendit maris atque feminae coniunctio, quam nos matrimonium appellamus, hinc liberorum procreatio, hinc educatio: videamus etenim cetera quoque animalia, feras etiam istius iuris peritia censeri.

23E, parallelamente:

24Ulp. 32 ad Sab. D. 24.1.3.1

25Videamus, inter quos sunt prohibitae donationes. Et quidem si matrimonium moribus legibusque nostris constat, donatio non valebit. Sed si aliquod impedimentum interveniat, ne sit omnino matrimonium, donatio valebit. Ergo si senatoris filia libertino contra senatus consultum nupserit, vel provincialis mulier ei, qui provinciam regit vel qui ibi meret, contra mandata, valebit donatio, quia nuptiae non sunt. Sed fas non est eas donationes ratas esse, ne melior sit condicio eorum, qui deliquerunt. Divus tamen Severus in liberta Pontii Paulini senatoris contra statuit, quia non erat affectione uxoris habita, sed magis concubinae.

26Da tale secondo passo, invero pensato per un caso di donationes tra coniugi, appare plausibile che, per il giurista, l’idea di un matrimonio fondato moribus legibusque nostris si affiancasse alla concezione ‘naturalistica’ accennata46, indicando quali elementi del diritto romano lo rendevano iustum, perché concluso secundum ius civile. Le regole applicate possono ricondursi sia ai mores, sia alle leges: un sintagma concettuale spesso utilizzato per indicare il complesso dell’ordinamento giuridico romano47.

27Ulpiano, poi, si sofferma sull’importanza dell’affectio e sulla contestuale assenza di impedimenti che ostino alla formazione di un rapporto matrimoniale iustum. La vicenda narrata verteva sulla qualificazione del rapporto che Ponzio Paolino aveva avuto per tutta la vita con la sua liberta, non qualificabile secondo Ulpiano come matrimonium ma semplicemente come coniunctio, in quanto non era presente l’affectio uxoris, bensì esclusivamente concubinae48.

28Tutti i brani accennati erano evidentemente noti alla commissione composta dai maestri Teofilo e Doroteo per la composizione del manuale istituzionale giustinianeo in cui si rinviene una celebre definizione di matrimonio49.

29I. 1.9.1

30Nuptiae autem sive matrimonium est viri et mulieris coniunctio, individuam consuetudinem vitae continens.

31È possibile che, nella sua formulazione attuale, vi sia, come è stato segnalato, anche l’influenza di Fiorentino50.

32L’enunciato nuptiae autem sive matrimonium rivela uno stretto collegamento con i brani sopra analizzati, i quali mettono in evidenza il consortium omnis vitae e l’individua consuetudovitae, nel significato di completa comunanza di vita dei coniugi che costituisce il significato etico-sociale del matrimonio.

33Tra l’altro, la parola coniunctio, del tutto comune alle definizioni riferite, sottolinea il carattere di ius naturale51 del matrimonium, così come l’individua vitae consuetudo sembra riecheggiare52 il medesimo significato del modestiniano consortium omnis vitae, cioè a dire la costituzione di un rapporto che ha la durata della vita stessa53.

34Del resto, Aulo Gellio54 equiparava la societas inseparabilis al consortium, mentre in Livio55 le nozioni di consortium e societas erano poste unitamente a fondamento della res publica e del conubium: il che non confligge con la circostanza – nota56 – per la quale la societas coniugalis era non soltanto una società di affetti ma anche una società di beni, stante la comunione di beni coniugali che veniva a crearsi57.

35A proposito di queste indicazioni, non va trascurato che parte della dottrina58, ha sottolineato che esse diano rilevanza esclusivamente al rapporto matrimoniale già esistente e non al momento della sua costituzione: come invece esplicitato nella tarda redazione59 di un brano dell’Epitome Ulpiani60, ove il conubium ed il consensus sono indicati come requisiti fondamentali e indispensabili del matrimonium iustum.

3. Elementi essenziali

36L’assenza di un’elaborazione sistematica unitaria ha dato luogo alla nascita di diverse tesi sull’individuazione degli elementi essenziali del matrimonio.

37In primo luogo è stato ritenuto fondamentale il conubium61, che, essendo inteso come capacità giuridica di contrarre matrimonio, viene riconosciuto eventualmente sussistere, in capo ai soggetti, a partire dal periodo della pubertà (atteso che lo scopo del vincolo era proprio la procreazione). Il iusconubii era proprio dei soli cives, pertanto escluso nelle ipotesi di schiavitù, e lo si poteva perdere divenendo schiavi del nemico nelle situazioni di prigionia di guerra62 (con una tendenza, a partire da Augusto, ad attenuare i rigori del ius civile e a tutelare, a certe condizioni, la validità di qualecumque matrimonium63).

38La soglia minima d’età per la capacità matrimoniale, come noto, era di 12 anni per le fanciulle e 14 anni per i ragazzi, posto che le ‘riserve’ e i contrasti giurisprudenziali sull’esigenza dell’inspectio corporis sarebbero stati definitivamente sopiti solo dalla dottrina giustinianea64. Le nozze dell’infradodicenne sarebbero quindi da ritenere invalide65, malgrado una celebre testimonianza plutarchea66 e l’esistenza di risultanze epigrafiche che documentano un numero apprezzabile di matrimoni precoci67.

39L’elaborazione dei giuristi, pur tra qualche oscillazione di pensiero, conferma questi dati e registra nel miglior modo possibile una certa prassi sociale che si muove contro le prescrizioni dell’ordinamento. Quasi uxor, loco nuptae sono infatti le efficaci connotazioni appellative delle giovanissime spose: ma i ragionamenti dei giureconsulti si occupano, per la massima parte, di casi relativi alla costituzione (e all’eventuale restituzione) di una dote o di donationes propter nuptias68, del valore della deductio in domum mariti della giovane69, della preesistenza o meno degli sponsalia rispetto al rapporto ‘coniugale’70, ove il compimento del dodicesimo anno di età è considerato essenziale per la conferma di tali atti71.

40I testi cui si è fatto riferimento mostrano, insomma, come i giuristi romani, nonostante formalmente negassero l’esistenza di un effettivo matrimonio, potessero ritenere determinate unioni come giuridicamente rilevanti per l’applicazione di norme di iuscivile o honorarium.

41L’assenza di conubium, a volte quale forma sanzionatoria, è riscontrabile in tutta una serie di casi che affiorano tra le fonti e che, al di là della tendenziale asistematicità con la quale sono prospettati, fanno riferimento all’unione del civis con una donna straniera72, alle nozze incestuose73, al matrimonio del funzionario provinciale con una donna residente nella provincia stessa74, a quello del tutore con la pupilla75, al divieto per la figlia del senatore di sposare un liberto76.

42Per questi profili, R. Fiori ha elaborato, qualche anno addietro, un ampio quadro ricostruttivo della materia in cui è proposta una efficace ed utilissima razionalizzazione77.

43Altro elemento costitutivo del matrimonio era il consenso manifestato78 direttamente dai coniugi o dal loro pater familias, nel caso in cui i primi fossero stati alieni iuris.

44Come anticipato, si trattava dell’affectio maritalis, cioè la manifestazione di volontà dei due soggetti di vivere come marito e moglie.

45L’affectio maritalis è l’elemento cardine del matrimonio, sia iustum che iniustum, al punto che la sua mancanza comportava la sussistenza di un mero concubinato, ritenuto per l’appunto un semplice rapporto di fatto. Quanto ai figli, erano considerati legittimi solo quelli nati dal rapporto matrimoniale iustum, mentre, per contro, non lo erano se nati in quello iniustum o all’interno di una vicenda di concubinato79.

46Da quanto esposto si evince, dunque, che il matrimonium iniustum, può essere definito come un “mancato matrimonio” (ma, anche, un “matrimonio in potenza”80), cioè nullo iure civili, ma avrebbe potuto acquisire validità civile, se all’affectio maritalis si fossero aggiunti tutti i requisiti mancanti e ritenuti necessari dal più volte richiamati brani dell’Epitome Ulpiani81.

47In dottrina si è molto discusso dei rapporti tra affectio, configurabilità dell’adulterio e divortium. Più di un caso spinoso è trattato, specialmente da Ulpiano, che si è interrogato sul comportamento della donna che cessa di considerare sé stessa quale moglie82 e della prospettazione, in un tale contesto, delle sue infedeltà ‘coniugali’83.

48L’opportunità di un consenso durevole, ininterrotto e continuato per la costituzione e la sussistenza del rapporto matrimoniale non è però da ritenersi sufficiente per il perfezionamento del vincolo84. Infatti, la necessità che, accanto all’affectio maritalis, elemento di carattere spirituale, e al conubium fosse rispettato l’aspetto materiale della convivenza era molto sentita85.

49In proposito, illustri studiosi hanno abbracciato una concezione, per così dire, contrattualistica del matrimonio, ritenendo che il relativo consensus potesse equipararsi a quello iniziale che le parti si scambiavano nella formazione dei negozi giuridici e fosse sufficiente all’insorgenza del vincolo matrimoniale86.

50Altra parte della dottrina romanistica87, invece, ha attribuito fondamentale importanza al perdurare della volontà matrimoniale lungo tutta l’esperienza di convivenza.

51Già P. Bonfante, invero, aveva avanzato, in una parte assai nota del suo corso, un confronto tra matrimonio e possessio, atteso che per entrambi gli istituti era necessario il perdurante animus dei soggetti e la sussistenza di un rapporto ‘materiale’88.

52Si trattava, come è stato opportunamente sottolineato89, della fase d’avvio di un percorso interno ad una scuola italiana di grande autorevolezza90 che con E. Volterra sarebbe arrivato a compimento91: e in effetti, quindi, con un ‘ritorno’ alla valorizzazione del consenso, la cui portata sarebbe però stata messa a frutto in rapporto al perdurare dell’affectio e della convivenza92.

4. Affectio maritalis

53Come già detto, l’affectio maritalis può essere definita come la volontà espressa dai nubendi di instaurare un rapporto matrimoniale monogamico per tutta la durata della loro esistenza al fine di costituire una famiglia legittima fondata su vincoli di assistenza reciproci e con finalità di procreazione93.

54Tale consensus doveva emergere sia sul piano soggettivo, come stato psichico, sia su quello oggettivo, cioè doveva essere legalmente rilevante e produttivo di effetti giuridici94.

55Inoltre, non era formalmente necessaria alcuna manifestazione d’avvio, ma che tale consensus persistesse durante tutto il matrimonio: diversamente quest’ultimo sarebbe cessato95.

56Poteva, dunque, essere manifestata96 attraverso comportamenti socialmente rilevanti, tra i quali è possibile annoverare l’atteggiamento reciproco dei coniugi che rendeva evidente la sussistenza di un rapporto matrimoniale produttivo di effetti.

57Tra tali condotte rientrano la deductio in domum mariti e quel complesso di reciproci atti di rispetto e di vicendevole riguardo coniugale cui si dava il nome di honor matrimonii.

58La deductio in domum mariti operava come una manifestazione chiara e certa dell’affectio maritalis.

59Come noto, si trattava di un atto non solenne che, pertanto, non richiedeva particolari forme esteriori di manifestazione della volontà e consisteva nell’ingresso della sposa nella casa del marito97.

60Ciò può essere verificato, in modo particolare98, nel caso limite del marito absens.

61Pomp. 4 ad Sab. D.23.2.5

62Mulierem absenti per litteras eius vel per nuntium posse nubere placet, si in domum eius deduceretur: eam vero quae abesset ex litteris vel nuntio suo duci a marito non posse: deductione enim opus esse in mariti, non in uxoris domum, quasi in domicilium matrimonii.

63Il testo pomponiano ci offre lo scorcio concreto di una situazione che ben mette in luce quanto su accennato: non essendo fisicamente possibile uno scambio di volontà fra presenti99, il nubendo assente avrebbe reso socialmente apprezzabile la sua intenzione di contrarre matrimonio e contestualmente la donna avrebbe assunto il titolo di mulier.

64L’aspetto concettuale che sembra potersi trarre dalla vicenda trova, in effetti, conferma in un responso di Papiniano100 e anche in un brano delle Pauli Sententiae101: più complicato (e controverso) è invece il ‘varco’ che sembrerebbe aprirsi in virtù di un passo ulpianeo102, da tempo sospettato di alterazioni (volontarie o meno), che autorizzerebbe a pensare ammissibile anche per la donna la possibilità di contrarre matrimonio malgrado l’absentia103.

65Invero, l’unione coniugale in età classica appariva fondata sull’honor matrimonii, consistente nella manifestazione obiettiva della sussistenza e della continuità del consensus dei coniugi percepibile socialmente104, mentre quellopostclassico e giustinianeo, prescindendo dalla convivenza, manteneva come unico requisito essenziale per la sua insorgenza l’affectio.

66A sostegno di quest’ultima tesi è possibile richiamare D.24.1.32.13105 in cui Ulpiano asseriva che nel caso in cui i coniugi non avessero vissuto insieme per un periodo, ma avessero in ogni caso conservato l’honor matrimonii, comportandosi dunque come marito e moglie, il rapporto matrimoniale sarebbe rimasto valido e produttivo di effetti.

67Il ruolo fondamentale dell’affectio maritalis puòquindi ricavarsi senza tema di smentita dalle fonti in materia; la massima consensus facit nuptias, estratta, come noto, da un celebre passo del 35° libro ad Sabinum di Ulpiano, ne esprime efficacemente tutto il rilievo:

68D. 35.1.15

69Cui fuerit sub hac condicione legatum "si in familia nupsisset", videtur impleta condicio statim atque ducta est uxor, quamvis nondum in cubiculum mariti venerit. Nuptias enim non concubitus, sed consensus facit.

70In un modo che non potrebbe essere più chiaro appare quindi come fosse il consenso, e non la condivisione del talamo e la coabitazione, a determinare l’esistenza del matrimonio106.

71Alla stessa stregua, altri giuristi hanno messo in risalto la correlazione tra la validità del matrimonio e il consenso prestato dai coniugi: Pomponio, in un frammento sul matrimonio del captivus, asserisce che la volontà espressa anche successivamente ripristinava il matrimonio107; Scevola, interrogandosi sulla validità di una donazione effettuata da una donna prima di essere condotta nella casa del marito e della sottoscrizione delle tavole dotali, rileva la necessità di un consenso intellegibile108; una costituzione di Giordano109 ed un frammento di Paolo110, riconoscono, in assenza di impedimenti, alla volontà di entrambe le parti la capacità di far nascere il matrimonio.

72Vi sono poi numerose fonti letterarie che esprimono, in modo netto o, più spesso, per allusione concludente, la vigenza di questo che è stato chiamato il principio consensualistico in ambito matrimoniale.

73Un classico in materia è la citazione ciceroniana operata da Quintiliano nel cuore della sua Institutio oratoria:

74Quint. Inst. Orat. 5.11.32

75Illud est adnotandum magis, argumenta duci ex iure simili, ut Cicero in Topicis: «eum cui domus usus fructus relictus sit non restituturum heredi si corruerit, quia non restituat seruum si is decesserit»; ex contrario: «nihil obstat quo minus iustum matrimonium sit mente coeuntium, etiam si tabulae signatae non fuerint: nihil enim proderit signasse tabulas si mentem matrimonii non fuisse constabit».

76Il passo, più volte allegato a sostegno di studi essenziali, mostra, come, di tutta evidenza, la volontà ricopriva un ruolo fondamentale nel matrimonio, essendone elemento principale per la sua formazione111.

77La rilevanza del ruolo del consensus ha indotto la maggior parte della dottrina ad annoverare il matrimonio all’interno della categoria del negozio giuridico, stante la preminenza della manifestazione di volontà idonea a creare il vincolo coniugale e a mantenerlo in vita. Si trattava, invero, di un accordo112 reciproco fra i nubendi al quale seguiva un vincolo autonomo avente ad oggetto l’individua consuetudo vitae ed il consortium omnis vitae.

78Per quanto attiene, invece, al contenuto dell’atto, si è ritenuto113 che dovesse qualificarsi come l’intenzione dei coniugi di porre in essere un matrimonio iustum, che gli consentiva di procreare tra loro ed educare figli legittimi, a differenza degli altri rapporti intercorrenti fra uomo e donna.

79Occorre sottolineare, altresì, che la violazione della fedeltà coniugale da parte della donna venne punita in ambito penale al fine di garantire maggiore protezione all’affectio maritalis.

80Originariamente, la punizione per l’adulterium della moglie fu introdotta dalla lex Iulia de adulteriis per il solo matrimonium iustum, ma è plausibile ammettere che fu estesa anche al matrimonium iniustum114 al fine di imporre delle sanzioni severe per garantire un equo sviluppo della repressione dei reati sessuali115 ed avvicinare le due tipologie di matrimonium. Successivamente tale sanzione fu applicata anche al fidanzamento116, in cui vi è soltanto una promessa di affectio, ed al concubinato, che continuò ad essere considerato un mero rapporto di fatto proprio perché carente di questo imprescindibile requisito117.

81L’importanza dell’affectio maritalis può dedursi anche in via indiretta, in quanto il difetto di essa veniva annoverata fra i motivi di divorzio118. Infatti, qualora uno o entrambi i coniugi percepivano che era venuta meno la voglia di vivere insieme come marito e moglie, il matrimonium iustum appariva privo del presupposto principale per la sua sussistenza. Veniva garantita una libertà massima di divorziare119, non esistendo nessun vincolo penale ed alcuna limitazione per i coniugi. Per i giuristi dell’epoca era inconcepibile un obbligo di convivenza tra persone che non avevano più l’animus necessario per tenere in vita un matrimonio. A testimonianza di quanto detto si richiama una Novella emanata da Giustino II120 in cui l’imperatore ribadisce che la coniugalis affectio e la volontà di convivenza creavano il matrimonio, pertanto la sua cessazione ed il consenso delle parti, avrebbero determinato lo scioglimento del vincolo consentendo ai coniugi di riacquisire l’indipendenza e la loro piena facoltà decisionale121.

82Ulteriormente, può dirsi che il requisito matrimoniale in oggetto ha avuto notevole importanza anche in merito all’insorgenza del crimen binae nuptiae122. Infatti, nel caso di contrazione di doppie nozze, qualora nel primo vincolo fossero rimasti intatti l’affectio maritalis e l’honor, il secondo matrimonio sarebbe stato un mero concubinato; mentre, in caso contrario, il primo matrimonio sarebbe venuto meno ipso iure con il sorgere del secondo, non potendo mai sussistere123, dunque, il reato di binae nuptiae, che per la sua esistenza necessitava di un vinculum iuris matrimoniale.

83Il preminente ruolo dell’affectio maritalis nell’istituto matrimoniale, impedisce la formulazione di una teoria della fattispecie della bigamia, potendosi ammettere, al più, la sola esistenza di adulterium.

84È evidente, dunque, come in alta età arcaica, in assenza di divorzio formale (e considerando il peso del ius sacrum), il confine tra le due fattispecie non poteva che essere molto labile. Peraltro, la donna, nella struttura della famiglia, era vincolata da una serie di doveri nei confronti del marito, tra tutti l’obbligo di fedeltà per la cui violazione venivano comminate pene molto severe fino all’uccisione della stessa124, nei casi di flagranza di reato125.

85A sostegno di ciò, si ricorda una testimonianza di Dionigi di Alicarnasso126 in merito ad una lex regia che prevedeva, in caso di flagranza di reato, la condanna a morte della moglieadultera127 oppure la sua sottoposizione a giudizio da parte del marito, unitamente ai cognati128 quali garanti della giustizia dell’azione compiuta, all’interno del consilium domesticum129.

86Tale evento appare confermato da Catone130, il quale ha precisato che l’uccisione dell’uxor colpevole di adulterio fosse consentita al marito qualora l’avesse sorpresa in flagranza di reato, anche senza consultare i cognati.

5. Conclusioni

87Le considerazioni testé riferite hanno indotto alcuni studiosi a sostenere che il crimen in oggetto sia stato istituito solo nel momento in cui il matrimonio romano venne considerato a tutti gli effetti un ‘negozio’ e non più un mero rapporto di fatto131. In tal senso le indicazioni alle binae nuptiae anteriori a questo momento sarebbero, quindi, una modifica apportata dai compilatori giustinianei, a seguito dell’introduzione del crimen di bigamia.

88Si tratta di un aspetto di notevole interesse e del tutto convergente con i risultati del breve esame qui proposto: che mi pare confermare il ruolo fondamentale del affectio maritalis in tutte le epoche storiche che hanno caratterizzato la società romana. L’imprescindibilità del consensus mette in luce l’importanza della volontà dei nubendi, che consentiva di distinguere il matrimonio da tutti gli altri tipi di unione stabile.

Articles Aug. 24, 2020
© 2020 fhi
ISSN: 1860-5605
First publication
Aug. 24, 2020

DOI: https://doi.org/10.26032/fhi-2020-008

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